Articoli marcati con tag ‘goffredo mameli’

 

 

 

 

 

 

 

 

 

            Una serata calma, illuminata dalla luna.

Al Sacrario dei caduti per Roma di via Garibaldi al Gianicolo, è stato ricordato ieri quel 6 luglio del 1849 in cui si spense, giovanissimo,  Goffredo Mameli, autore dei versi del nostro Inno Nazionale.  Una memoria che acquista maggior valore in quanto celebrata nel luogo stesso ove riposano i suoi resti mortali.

            Ci chiediamo spesso quanto interesse possa ancora suscitare nelle giovani (e meno giovani) generazioni la memoria di un passato così glorioso e dimenticato, come quello della Repubblica Romana del 1849, in cui operò, combatté e morì Mameli. L’interesse nasce dalla conoscenza, e se questa conoscenza di base non viene sollecitata continuamente, se i giovani non vengono coinvolti nelle scuole e nei musei, si perderà quel filo diretto con il passato che ci permette di affrontare con più consapevolezza il nostro ruolo nella storia d’Italia e d’Europa, dell’oggi e del domani.

            Non possiamo però permetterci di affidare questo compito esclusivamente alle associazioni culturali o a singoli funzionari pubblici di buona volontà, che si son fatti carico del problema per spirito di servizio. La politica deve intervenire e risolvere questo nodo cruciale: promuovere lo studio costante del nostro Risorgimento e i valori di altissimo spessore umano e spirituale in esso contenuti; degli uomini e delle donne  che hanno costruito le basi ideali della nostra esistenza. In quest’ottica è in corso la raccolta firme per inserire lo studio del Risorgimento nella Scuola Primaria https://www.change.org/p/ministro-della-pubblica-istruzione-smarrimento-identit%C3%A0-nazionale-il-risorgimento-%C3%A8-scomparso-dalla-scuola-primaria?recruiter=57872434&utm_source=share_petition&utm_medium=facebook&utm_campaign=share_for_starters_page&utm_term=des-lg-google-no_msg )

            L’iniziativa di Mara Minasi, responsabile del Museo della Repubblica Romana e del Mausoleo-Ossario Gianicolense, ha confermato questa tendenza e ci ha regalato, con la passione che contraddistingue i suoi interventi, pagine indimenticabili scritte da Mazzini e Garibaldi sul giovane Goffredo. Parole che ci allontanano momentaneamente dal profondo sentimento di distacco dalle istituzioni, da una classe dirigente sorda e inattiva, attenta più ad esistere che a fare, e ci incoraggiano a continuare nel doveroso cammino di volontariato che la nostra associazione ha intrapreso da tempo.

            Un sentito ringraziamento va al duo Gabriella Antonucci e Marco Quintiliani che hanno magistralmente accompagnato, con parole e musiche risorgimentali, le acute considerazioni della relatrice sull’importanza della memoria storica della Repubblica Romana e della sua Costituzione, faro indiscusso del nostro attuale ordinamento istituzionale, ma anche un plauso alla Minasi per  l’impegno e le capacità organizzative, unite alla carica passionale che trasmette con indubbia efficacia all’ascoltatore.

p.m.

       Lunedì 6 Luglio 2015 alle ore 17,00 ha avuto luogo, all’interno  del Mausoleo-Ossario dei caduti per Roma, un ricordo di Goffredo Mameli, celebrato nei pressi dell’ urna ove sono custodite le  spoglie mortali del patriota genovese. L’incontro è stato organizzato e condotto dalla Dott.ssa Mara Minasi, responsabile del Sacrario di Via Garibaldi, e Direttrice del Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina di Porta San Pancrazio, coadiuvata dal Dott. Gianluca Schingo.

Malgrado la giornata calda e feriale, erano  presenti membri dell’Associazione “Garibaldini per l’Italia”, dell’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi” e dell’Associazione Mazziniana di Roma.  Abbiamo voluto intitolare questo articolo -memorabile omaggio-  perché, nell’ambito delle rievocazioni delle figure più nobili del nostro Risorgimento, quella del 6 luglio 2015  merita di essere ricordata come una delle più originali.

La figura di Goffredo Mameli, troppo spesso associata unicamente alla paternità del testo dell’Inno Nazionale, e mai approfondita adeguatamente sotto il profilo umano,  poetico-letterario e politico, è stata mirabilmente rappresentata dalla Minasi e dallo Schingo attraverso la declamazione commentata dei suoi scritti e le impressioni di coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato. Ne è nata una originale memoria, ricca di contenuti storici e letterari, resa ancor più suggestiva dalle note musicali di una chitarra classica che accompagnava con delicate armonie i testi poetici e le affettuose considerazioni, rivolte a Goffredo, di Mazzini e Garibaldi, attraverso le quali  la figura di questo protagonista della nostra storia assumeva una dimensione più reale che mitica. Ecco dunque il ragazzo irrequieto, passionale, ardito ma contemporaneamente tenero e delicato, anima poetica, patriota ardente e politico attivo; una figura che grazie alla intelligente  trovata ci svela il suo vero volto, così ben raffigurato nel dipinto di Domenico Induno. Un memorabile omaggio, dunque, a Mameli, ricco di note e, sebbene celebrato in un contesto sacro, anche   intimo e famigliare.

Come spesso accade in simili circostanze, alle meritate lodi attribuite alla funzionaria del Comune di Roma dobbiamo purtroppo associare, per dovere di cronaca, la superficialità con cui è stato ideato e montato il servizio televisivo dell’evento realizzato dal TGR RAI Regione Lazio a firma di Andrea Marini; servizio che, oltre a ignorare i contenuti della cerimonia e non citare almeno l’autrice della stessa, cadeva di stile definendo “FACINOROSI” i rivoluzionari e patrioti che contribuirono alla nascita della Repubblica Romana del 1849, tra i quali era presente (all’insaputa forse del redattore) lo stesso Mameli. Oltre all’imperdonabile gaffe, l’autore cadeva nel secondo errore quando, ricordando l’intervento dei Francesi deciso per ripristinare il Governo papale,  citava Napoleone III in luogo di Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, Presidente della Repubblica Francese, che diverrà imperatore dei Francesi,  con il nome appunto di Napoleone III, solo nel 1852.

P.M.

Articolo del Prof. Carlo Felici

Viviamo in tempi di sovranità sempre più limitata, perché l’orizzonte globale in cui si estende la ferrea ideologia del “capitalismus sive natura”, con cui si pretende di far credere che non esista altra verità oltre quella del contingente, non rende possibile altra libertà che non consista nel sentirsi pienamente organici ad un imperativo categoricamente vincolato alla necessità di adeguare il volere al dovere essere merce per fini di profitto.

Anche la nostra bella Repubblica nasce già con questo imprimatur, in un’epoca in cui fu già molto importante essere riusciti a redigere una Costituzione tra le più avanzate al mondo, e, potremmo dire senza tema di smentita, anche troppo “avanzata” per un popolo poco educato e ancor più scarsamente abituato alla consuetudine dei diritti e dei doveri, necessari e indissolubili in un autentico tessuto democratico. La nostra Repubblica è così nata con un abito meraviglioso che però ha per molto tempo nascosto vergogne alquanto luride e meschine: servilismo, corruttele, clientelismo, ruberie, immoralità largamente diffuse nella gestione del potere e dell’amministrazione pubblica, collusioni con mafie di ogni tipo e permanenti tendenze municipaliste e centripete, sempre in agguato, per minare il senso di appartenenza ad una comunità e ad uno Stato che, se il fascismo aveva idolatrato, la repubblica dei boiardi ha continuato, nei fatti, spesso a bestemmiare senza ritegno. Tutto questo, mentre gli equilibri geostrategici non ci hanno mai consentito di esercitare una sovranità vera, tale cioè non da alimentare prosopopee imperialistiche, ma almeno per decidere del nostro destino, oppure per sapere bene come e perché sono accadute le stragi più efferate nel nostro territorio: da Portella della Ginestra, a Bologna, a Ustica e via dicendo, enumerarle tutte per l’ennesima volta sarebbe alquanto deprimente, ma tant’è, sono lì, nella nostra storia, ancora senza veri colpevoli, senza mandanti..

C’è mai stato un momento in cui gli italiani sono stati liberi e sovrani nella loro millenaria storia di servi di re, imperatori, papi, feudatari, dittatori e plenipotenziari? No, forse perché gli italiani hanno sempre trovato più comodo associare la libertà alla furberia di fare i loro comodi, addossando la responsabilità dei loro errori al loro “sovrano” di turno, e ovviamente cercando di fregarlo alla prima occasione buona, e infine impiccandolo magari per i calzoni o buttandolo in un luogo remoto del mare nostrum, appena non avesse più fatto comodo a tutti. Qui la libertà è sempre stata solo un sogno di pochi eletti o di pochi mesi. Troppo nevralgico infatti è sempre stato un paese ficcato e proteso al centro di un mare che ha visto scontrarsi ed incontrarsi civiltà di ogni genere e sorta, perché qualcuno non volesse farne il suo trampolino personale adatto a tuffarsi nelle onde della sua ambizione individuale, e tutto questo fino ad oggi, quando però rischia di tuffarsi in un mare di monnezza o di rifiuti tossici. E allora, tanto per tornare ad uno di quei sogni in cui forse è bello risvegliarsi solo nella luce di una eterna ed eroica beatitudine che ha però come viatico solo la morte, ci piace pensare all’unico sprazzo di libertà e di sovranità popolare e nazionale, di repubblica autenticamente democratica, concessa agli italiani nell’epoca moderna: la Repubblica Romana del 1849

(continua http://legaecosocialistaporelsur.blogspot.it/2014/07/il-trepido-desio-dellalma-affranta-la.html )

“Nessuno può servire a due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà  all’uno e trascurerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammòna” (Vangeli di Matteo e Luca)

Così come l’insegnamento  cristiano impone al fedele l’osservanza di questa semplice e coerente scelta di campo, nello stesso modo il cittadino di una Repubblica democratica ha il dovere di scegliere tra chi opera per il bene della collettività e chi  utilizza le Istituzioni per soddisfare e potenziare  interessi privati che contrastano lo sviluppo e il progresso del Popolo.  

I recenti, incredibili  avvenimenti legati all’elezione del Capo dello Stato  hanno impedito che in Italia si realizzasse, almeno sulla carta, quel processo di reale cambiamento e quell’inversione di tendenza  politica e culturale da tempo invocata.

Nelle pagine di questo sito  abbiamo più volte sottolineato la coincidenza tra i comportamenti delle varie correnti politiche della seconda metà dell’ottocento (conservatrici, moderate riformiste o democratiche e rivoluzionarie) e quelle dei nostri giorni; comportamenti  drammaticamente simili per inciuci, ignavia, camaleontismo, superbia; e quanto tali posizioni fossero condannate molto duramente da Garibaldi, Mameli, Mazzini e tutti coloro che avevano compreso quanto fosse importante costruire una società nuova su solide e virtuose fondamenta, non solo per unificare un territorio culturalmente eterogeneo,  quanto per formare la coscienza civile di un intero Popolo. La maggior parte delle strade delle nostre città sono ora asfaltate e non più polverose come quelle dell’800, ma la personalità degli uomini che le calpestano  è cresciuta in cinismo e individualismo. Il problema di fondo, dunque, rimane: la maggioranza degli Italiani deve ancora essere “formata” alla civiltà e al progresso; e certo non aiuta aver affossato culturalmente e finanziariamente  la scuola pubblica, fonte indiscussa di formazione e crescita del cittadino.

 Non si può servire a due padroni! Come possiamo essere indifferenti alle vicende che hanno portato l’Italia a sprofondare ai livelli più bassi della sua storia repubblicana? Come possiamo ignorare le politiche sbagliate, gli scandali, le ruberie, i conflitti d’interesse, le concussioni, le corruzioni, le connivenze con le mafie,  che certi opportunisti  legati a Silvio Berlusconi  (compresa quella pseudo-opposizione e quelle figure istituzionali che ne hanno favorito il dilagare)  hanno inflitto al povero Popolo italiano, stordito dalle televisioni e ingannato da tali abili manovratori? Occorre scegliere: servire due padroni peggiorerà ulteriormente la grave crisi che stiamo vivendo.

Se solo ci fossimo liberati dalle scorie del passato, dai vincoli del partitismo autoritario, apparentemente democratico, che non vuole sacrificare il piccolo potere di una piccola casta al vero bene della collettività, avremmo visto, forse, nascere una  luce per l’Italia; la stessa luce sognata dalle nuove generazioni che avevano identificato Stefano Rodotà con l’uomo che incarnava  la speranza.

Paolo Macoratti 

PER CHIARIRE  IL SIGNIFICATO DELLA CANDIDATURA DI STEFANO RODOTA’, INSERIAMO LA LETTERA CHE LO STESSO HA SCRITTO A EUGENIO SCALFARI

Questa la lettera di Stefano Rodotà a Eugenio Scalfari, che lo aveva pesantemente attaccato per la sua scelta di offrire il fianco al Movimento 5 Stelle:

Caro direttore,

non è mia abitudine replicare a chi critica le mie scelte o quel che scrivo. Ma l’articolo di ieri di Eugenio Scalfari esige alcune precisazioni, per ristabilire la verità dei fatti.

E, soprattutto, per cogliere il senso di quel che è accaduto negli ultimi giorni. Si irride alla mia sottolineatura del fatto che nessuno del Pd mi abbia cercato in occasione della candidatura alla presidenza ella Repubblica (non ho parlato di amici che, insieme a tanti altri, mi stanno sommergendo con migliaia di messaggi). E allora: perché avrebbe dovuto chiamarmi Bersani? Per la stessa ragione per cui, con grande sensibilità, mi ha chiamato dal Mali Romano Prodi, al quale voglio qui confermare tutta la mia stima. Quando si determinano conflitti personali o politici all’interno del suo mondo, un vero irigente
politico non scappa, non dice «non c’è problema », non gira la testa dall’altra parte. Affronta il problema, altrimenti è lui a venir travolto dalla sua inconsapevolezza o pavidità. E sappiamo com’è andata oncretamente a finire.

La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo? E allora bisogna parlare seriamente di molte cose, che qui posso solo accennare. È infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che enota in un partito l’esistenza di un soggetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata. Nella drammatica giornata seguita all’assassinio di Giovanni Falcone, l’esigenza di una risposta istituzionale rapida chiedeva l’immediata elezione del presidente della Repubblica, che si trascinava da una quindicina di votazioni. Di fronte alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro, più d’uno nel Pds osservava che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”. Mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione, sì che poi il Pds votò compatto e senza esitazioni, contribuendo a legittimare sé e il Parlamento di fronte al Paese.

Incostituzionale il Movimento 5Stelle? Ma, se vogliamo fare l’esame del sangue di costituziona-lità, dobbiamo partire dai partiti che saranno nell’imminente governo o maggioranza. Che dire della Lega, con le minacce di secessione, di valligiani armati, di usi impropri della bandiera, con il rifiuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con le sue concrete politiche razziste e omofobe? È folklore o agire in sé incostituzionale? E tutto quello che ha documentato Repubblica nel corso di tanti anni sull’intrinseca e istituzionale incostituzionalità dell’agire dei diversi partiti berlusconiani? Di chi è la responsabilità del nostro andare a votare con una legge elettorale viziata di incostituzionalità, come ci ha appena ricordato lo stesso presidente della Corte costituzionale? Le dichiarazioni di appartenenti al Movimento 5Stelle non si sono mai tradotte in atti che possano essere ritenuti incostituzionali, e il loro essere nel luogo costituzionale per eccellenza, il Parlamento, e il confronto e la ialettica che ciò comporta, dovrebbero essere da tutti considerati con serietà nella ardua fase di transizione politica e istituzionale che stiamo vivendo.

Peraltro, una analisi seria del modo in cui si è arrivati alla mia candidatura, che poteva essere anche quella di Gustavo Zagrebelsky o di Gian Carlo Caselli o di Emma Bonino o di Romano Prodi, smentisce la tesi di una candidatura studiata a tavolino e usata strumentalmente da Grillo, se appena si ha nozione dell’iter che l’ha preceduta e del fatto che da mesi, e non soltanto in rete, vi erano appelli per una mia candidatura. Piuttosto ci si dovrebbe chiedere come mai persone storicamente appartenenti all’area della sinistra italiana siano state snobbate dall’ultima sua incarnazione e abbiano, invece, ollecitato l’attenzione del Movimento 5Stelle. L’analisi politica dovrebbe essere sempre questa, lontana da malumori o anatemi.

Aggiungo che proprio questa vicenda ha smentito l’immagine di un Movimento tutto autoreferenziale, arroccato. Ha pubblicamente e ripetutamente dichiarato che non ero il candidato del Movimento, ma una personalità (bontà loro) nella quale si riconoscevano per la sua vita e la sua storia, mostrando così di voler aprire un dialogo con una società più larga. La prova è nel fatto che, con sempre maggiore chiarezza, i responsabili parlamentari e lo stesso Grillo hanno esplicitamente detto che la mia elezione li avrebbe resi pienamente disponibili per un via libera a un governo. Questo fatto politico, nuovo ispetto alle posizioni di qualche settimana fa, è stato ignorato, perché disturbava la strategia rovinosa, per sé e per la democrazia italiana, scelta dal Pd. E ora, libero della mia ingombrante presenza, forse il Pd dovrebbe seriamente interrogarsi su che cosa sia successo in questi giorni nella società italiana, senza giustificare la sua distrazione con l’alibi del Movimento 5Stelle e con il fantasma della Rete.

Non contesto il diritto di Scalfari di dire che mai avrebbe pensato a me di fronte a Napolitano. Forse poteva dirlo in modo meno sprezzante. E può darsi che, scrivendo di non trovare alcun altro nome al posto di Napolitano, non abbia considerato che, così facendo, poneva una pietra tombale sull’intero Pd, ritenuto incapace di esprimere qualsiasi nome per la presidenza della Repubblica.

Per conto mio, rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa, convinto che la cultura politica della sinistra debba essere proiettata verso il futuro. E alla politica continuerò a guardare come allo strumento che deve tramutare le traversie in opportunità.

La fiaccolata del 10 giugno 2012 a Roma sul colle del Gianicolo, organizzata dalle Associazioni Garibaldini per l’Italia e Gruppo Laico di Ricerca, patrocinata dal Comune di Roma ( Municipii I e XVI ), con la partecipazione attiva dell’A.N.P.I. e della F.I.A.P, per celebrare il 163° anniversario della Difesa della Repubblica Romana del 1849, ha voluto rendere onore ai caduti, ai combattenti, agli esiliati, ai giustiziati che testimoniarono  con il loro sangue e la loro partecipazione la volontà di cambiare il mondo, dando vita al momento forse più alto della nostra storia risorgimentale.

http://www.youtube.com/watch?v=PcriprLpOQg&feature=g-upl

“Pochi contro moltissimi”, è scritto sulle lapidi e sui testi di storia, per ricordare quanto grande fosse stato il loro sacrificio, quanto forte la spinta che li animava. Quale misteriosa forza aveva prodotto quelle volontà, così determinate  da sfidare con furore le potenze militari più organizzate e potenti dell’epoca? I nostri fratelli del 1849 anelavano a realizzare su questa terra l’archetipo del bene comune, l’utopia per antonomasia, la fraternità e la giustizia sociale; in due parole la DEMOCRAZIA PURA. Parole che terrorizzavano Re e Papi e che ancora oggi imbarazzano le caste e i potentati economici e religiosi.
La memoria di quei giorni e degli uomini e le donne che fecero grande il nostro Paese spesso si riduce alla sola celebrazione di questa o quella ricorrenza,  che individui più o meno preparati storicamente, s’impegnano a rinnovare periodicamente per non sentirsi lontani da quel passato glorioso. E’ questa una delle basi di partenza per coltivare la memoria, ma il rischio che assuma il carattere di un’autocelebrazione sterile e infruttuosa è molto alto.
Potrebbe sembrare difficile mettere a frutto l’eredità di Mazzini, Garibaldi, Mameli e tutti coloro che parteciparono alla costruzione di una  Patria comune fondata sul progresso dell’essere umano e sulla convivenza civile; in realtà è solo una questione di volontà e di scelte personali. Si può ricominciare, partendo dalla scuola, trasferendo costantemente nelle giovani generazioni ciò che è già  scritto nelle opere dei nostri Padri Costituenti, nella Repubblica Romana del 1849 e nella Costituzione della Repubblica Italiana tuttora vigente. E’ questione di volontà e di scelte personali lottare con ogni mezzo legale perchè siano salvaguardati i principi di libertà, giustizia, eguaglianza attraverso i quali poter continuare a costruire quell’utopia del 1849,: la Democrazia Pura.
La fiaccolata del 10 Giugno non avrebbe avuto senso, o lo avrebbe avuto solo concettualmente, se non fosse stata finalizzata  alla realizzazione pratica dei nobili concetti trasmessici dai Padri della Patria, che prima di noi hanno difeso la Repubblica con tutte le loro forze.  Difendere la Repubblica , oggi, vuol dire dunque partecipare alla sua vita attivamente, controllare che le leggi emanate siano effettivamente in favore della maggioranza del Popolo e non di una risibile contrada;  vuol dire ancora denunciare gli abusi, il malcostume nella politica e nel sociale, costruendo il progresso attraverso un cambiamento culturale, anche profondo, se necessario; e a ognuno di noi è affidata la responsabilità morale di questo cambiamento.
Presto in Italia dovremo tornare a votare in un contesto di forte abbassamento delle difese immunitarie , civili e sociali.  Ai tentativi di mantenere alti i privilegi di una piccola parte della popolazione si sommano i disagi di una regressione progressiva dalle conquiste civili e sociali ottenute in 65 anni di storia repubbicana.  Le conseguenze le conosciamo bene ed è superfluo ripeterle. Non ci rimane che sottolineare un AVVISO AGLI ELETTORI che ieri, come oggi, sono il manifesto della nostra volontà di cambiamento.

” NOI VOGLIAMO UOMINI CHE SENTANO QUELLO CHE DICONO: RIFIUTIAMO QUELL’ABITUDINE D’IPOCRISIA CHE, DA UNA NAZIONE RICAVATA OR ORA ALLA VITA, PROPONE PER PRINCIPIO DI RIGENERAZIONE, PER PRIMO DOGMA POLITICO, LA MENZOGNA SISTEMATICA. NOI VOGLIAMO LA VERITÀ, CREDIAMO CHE IN LEI SOLA STIA LA FORZA. NOI FACCIAMO POCO CONTO DELLE PAROLE, MOLTISSIMO DELLA VITA DI UN INDIVIDUO. SCRUTEREMO NEI NOSTRI CANDIDATI I FATTI PASSATI; ELIMINEREMO GLI UOMINI CHE , O PER TRISTIZIA O PER INETTEZZA HANNO MANCATO ALL’ONORE E AGLI INTERESSI DEL PAESE; NON APPOGGEREMO CHE I NOMI DI COLORO IL CUI PASSATO CI SIA PEGNO PER L’AVVENIRE.”  ( Goffredo Mameli – 4 Gennaio 1849 )

” BISOGNA SPAZZARE QUESTA MASSA D’INTRUSI CHE, COME LE FORMICHE NEGLI ALVEARI, NE DEPORTANO CERA E MIELE, E NON VI LASCIANO CHE PUTRIDUME E MACERIE.  VORREI DIRVI CHI SONO, CHI FURONO E DONDE VENGONO: MA TROPPO DOVREI INTINGERE LA PENNA NELLE SOZZURE, E MI RIPUGNA. BASTA VI DICA: RICORRETE AL LORO PASSATO, E SE NON SIETE PIU’ CHE CIECHI, PIU’ CHE IMBECILLI, PIU’ CHE CODARDI, NON RICONFERMATELI NEL LORO SEGGIO.  CHE SPERATE DA ESSI ? IL PAREGGIO, LA DIFESA DELLO STATO, LA LIBERTA’ ? ILLUSI CHE SIETE ! SI, RICONFERMANDOLI, PREPARATEVI A NUOVE SCIAGURE “. (  Giuseppe Garibaldi – Caprera 29 Settembre  1874 )