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Articolo del Prof.  Carlo Felici tratto da “Avanti on Line”

Viviamo in tempi di sovranità sempre più limitata, perché l’orizzonte globale in cui si estende la ferrea ideologia del “capitalismus sive natura”, con cui si pretende di far credere che non esista altra verità oltre quella del contingente, non rende possibile altra libertà che non consista nel sentirsi pienamente organici ad un imperativo categoricamente vincolato alla necessità di adeguare il volere al dovere essere merce per fini di profitto. Anche la nostra bella Repubblica nasce già con questo imprimatur, in un’epoca in cui fu già molto importante essere riusciti ad redigere una Costituzione tra le più avanzate al mondo, e, potremmo dire senza tema di smentita, anche troppo “avanzata” per un popolo poco educato e ancor più scarsamente abituato alla consuetudine dei diritti e dei doveri necessari ed indissolubili in un autentico tessuto democratico.

La nostra Repubblica è così nata con un abito meraviglioso che però ha per molto tempo nascosto vergogne alquanto luride e meschine: servilismo, corruttele, clientelismo, ruberie, immoralità largamente diffuse nella gestione del potere e dell’amministrazione pubblica, collusioni con mafie di ogni tipo e permanenti tendenze municipaliste e centripete, sempre in agguato, per minare il senso di appartenenza ad una comunità e ad uno Stato che, se il fascismo aveva idolatrato, la repubblica dei boiardi ha continuato, nei fatti, spesso a bestemmiare senza ritegno. Tutto questo, mentre gli equilibri geostrategici non ci hanno mai consentito di esercitare una sovranità vera, tale cioè non da alimentare prosopopee imperialistiche, ma almeno per decidere del nostro destino, oppure per sapere bene come e perché sono accadute le stragi più efferate nel nostro territorio: da Portella della Ginestra, a Bologna, a Ustica e via dicendo, enumerarle tutte per l’ennesima volta sarebbe alquanto deprimente, ma tant’è, sono lì, nella nostra storia, ancora senza veri colpevoli, senza mandanti..basta la cattura di un latitante ex terrorista per cancellare tutto questo? C’è mai stato un momento in cui gli italiani sono stati liberi e sovrani nella loro millenaria storia di servi di re, imperatori, papi, feudatari, dittatori e plenipotenziari? No, forse perché gli italiani hanno sempre trovato più comodo associare la libertà alla furberia di fare i loro comodi, addossando la responsabilità dei loro errori al loro “sovrano” di turno, e ovviamente cercando di fregarlo alla prima occasione buona, e infine impiccandolo magari per i calzoni o buttandolo in un luogo remoto del mare nostrum, appena non avesse più fatto comodo a tutti.

Qui la libertà è sempre stata solo un sogno di pochi eletti o di pochi mesi. Troppo nevralgico infatti è sempre stato un paese ficcato e proteso al centro di un mare che ha visto scontrarsi ed incontrarsi civiltà di ogni genere e sorta, perché qualcuno non volesse farne il suo trampolino personale adatto a tuffarsi nelle onde della sua ambizione individuale, e tutto questo fino ad oggi, quando però rischia di tuffarsi in un mare di monnezza o di rifiuti tossici. E allora, tanto per tornare ad uno di quei sogni in cui forse è bello risvegliarsi solo nella luce di una eterna ed eroica beatitudine che ha però come viatico solo la morte, ci piace pensare all’unico sprazzo di libertà e di sovranità popolare e nazionale, di repubblica autenticamente democratica, concessa agli italiani nell’epoca moderna: la Repubblica Romana del 1849 Quella, è bene ricordarlo, non fu tanto una rivoluzione o una insurrezione, perché i romani allora, e con essi alcuni credevano che potessero averlo anche gli italiani, un governo sovrano lo avevano già, ed era quello del papa: Pio IX, che tante belle quanto vane speranze aveva suscitato, assecondando il progetto giobertiano di un paese libero sì, ma solo dallo straniero, per il resto però, continuamente assoggettato ai sovrani locali, tutti devoti e riconoscenti verso un unico sovrano nazionale e “federale”: il papa. I romani protestarono sì, contro il papa, quando un suo ministro e fiduciario venne ucciso, perché sostanzialmente incapace di salvare gli equilibri politici, quando questi divennero fragilissimi per la stessa incapacità del papa di mettersi a capo di una vera guerra di liberazione, seguendo magari l’esempio di alcuni suoi illustri predecessori come Alessandro III, ma soprattutto perché il popolo, una volta assaggiata la libertà, ci aveva preso gusto.

Così, dopo quella uccisione, lo stesso popolo romano, non si fece vergogna di andare a “stanare” lo stesso pontefice al Quirinale, per esigere maggiori diritti, e quando le guardie svizzere lo presero a fucilate, insorse finalmente, ma senza per altro prendere a cannonate la dimora del Papa come se fosse la Bastiglia. Anzi, chi lo conduceva si parò, per impedirlo, persino davanti ai cannoni spianati, tanto rispetto si aveva..persino delle architetture. Questo però non impedì a qualche monsignore come Palma, di impugnare la pistola e di dare una lezione ai facinorosi, magari di nascosto, da dietro una persiana, finendo però, a sua volta impallinato inesorabilmente. Il papa così si spaventò e scappò a Gaeta, una fortezza considerata, fino all’arrivo dei piemontesi che la spianarono a cannonate anche a costo di fare una strage, inespugnabile. E da lì non si trattenne più dal gridare “Al lupo repubblicano! Al lupo repubblicano!” a tutta Europa, finché non fu sicuro di smuovere ben quattro eserciti contro quella scalcagnata ed irreverentissima repubblica, che però, in fondo, si limitò solo a riempire un vuoto, a colmare un horror vacui, e che pur lo fece con grandissima civiltà, memore delle migliori esperienze illuministe, democtatiche e anche socialiste dell’epoca.

Scrisse allora il suo ministro degli esteri, Rusconi: “La Repubblica Romana, derisa da alcuni, destata da altri, mal giudicata da tutti, vuol essere apprezzata sotto tre differenti aspetti: il governo, l’assemblea, il popolo. Un paese è disorganizzato quando i poteri che lo reggono sono in lotta tra di loro o non sono l’espressione vera dei sentimenti delle moltitudini… Ora questa armonia, questa concordanza si videro appunto nella barbara repubblica di Roma; governo, assemblea e popolo furono all’unisono nei sentimenti, nei desideri, nelle opere; ed è un fatto che poche volte si riscontra; se l’ordine, il benessere e la pace non sono quindi segno di barbarie, e l’anarchia, il terrore e la miseria non lo sono di civiltà, può infierirsi che Roma repubblica non fu così selvaggia quanto disse la reazione.” Per parlare adeguatamente della Repubblica Romana, sarebbe necessaria una enciclopedia, o almeno un volume di vasto respiro (che non escludo che scriveremo un giorno), anche perché per troppo tempo su questa esperienza cruciale della nostra storia è calato il silenzio: dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra, in cui per altro uscirono alcuni studi importanti come quelli di Demarco, Bonomi o Rodelli, fino alle soglie del nuovo millennio, quando finalmente l’amore per questa storia un po’ dimenticata è risorto con una serie di nuovi studi, sia a cura degli storici di professione sia ad opera di alcuni bravi giornalisti: basti ricordare tra i vari: Severini, Monsagrati, Tomassini e Fracassi, per circa 40 anni però se ne è parlato pochissimo. I libri più importanti su questo periodo restano comunque quelli editi subito dopo tale esperienza e consegnati alla storia: Rusconi, Vecchi, Del Vecchio, Farini, Torre, e poco più in là, Beghelli, Leti, scrissero le pagine più affascinanti di questa vicenda, alcuni persino in presa diretta, sotto forma di diario epistolare, come Paladini e Lazzarini. Il bello è che, nonostante la perdurante smemoratezza degli italiani o la permanente disattitudine alla lettura, i testi di questi autori sono ormai, essendo dopo tanto tempo privi di diritti d’autore, patrimonio storico di tutti e messi on line dalle più importanti università americane, oppure da loro stesse ristampati in fotocopia. Si vede che negli USA alla tradizione storica repubblicana e risorgimentale tengono più di noi. E’ quindi poco opportuno in questa sede ripercorrerne dettagliatamente o anche solo sinteticamente le tappe fondamentali, dalla sua fondazione alla sua sconfitta, dovuta al perdurante assedio e bombardamento non solo delle mura, ma anche di case, ospedali, chiese e monumenti, ad opera del più potente esercito di quell’epoca: quello francese, ci interessa invece maggiormente comprenderne la sua validità politica e sociale e soprattutto capire quale monito essa eserciti ancora verso le nostre coscienze.

La rimozione della sua storia e la sua rinascita recente, infatti, coincidono con la storia di una Repubblica la cui Costituzione, sebbene fosse figlia diretta di quella emanata per un solo giorno dalla Repubblica Romana, è rimasta in vigore in modo continuamente snaturato ed inapplicato per decenni, per essere infine “picconata” e destrutturata negli ultimi venti anni, fino a quello che rischia di configurarsi come il suo stravolgimento odierno definitivo, fino a che non ci sarà più differenza tra costituzione formale e materiale, ma ci sarà solo una costituzione “maceriale” imposta cioè sulle macerie della nostra democrazia. Tornare a ricordare la Repubblica Romana, da venti anni a questa parte, è quindi un po’ come un lacerante singulto di amarezza e nostalgia, non solo per ieri ma anche per l’oggi La Costituzione e l’opera della Repubblica Romana furono un lampo di luce nell’oscurità di un’epoca in cui prevalevano i velleitarismi e gli assolutismi, essa fu la reazione più fulgida sia al terrore giacobino sia a quello della tirannide che del giacobinismo adottò entusiastica lo stesso strumento di morte: la ghigliottina. Nel breve periodo in cui essa si affacciò alla vita, fece in tempo a lanciare un messaggio di libertà e di giustizia sociale che, eternamente, il futuro non potrà non accogliere, anche se noi, con questo nostro presente, ne siamo ancora indegni.

Lo studio sui provvedimenti sociali più significativi ed avanzati della Repubblica Romana resta quello di Demarco, nell’ultimo libro della sua trilogia sullo Stato Romano in epoca moderna fino alla Rivoluzione. Egli fa notare non solo la rilevanza e la straordinaria capacità innovativa dei provvedimenti presi, ma mette altresì in luce la fragilità di un assetto istituzionale, che, pur guardando molto avanti nel futuro, non aveva purtroppo gambe solide per raggiungerlo e purtroppo non ne trovò nemmeno in altre nazioni sorelle. Il grande paradosso di quella storia fu che finì male a causa dei francesi, ma i rivoluzionari proprio sui francesi contavano, allora, per poter conseguire il loro lieto fine; almeno su coloro che, un anno prima, in Francia e a Parigi, erano scesi nelle vie e nelle piazze erigendo barricate, e che tentarono di nuovo di insorgere il 13 giugno del 1849, con Ledru Rollin, che provò impavidamente a guidarli, ma, essendo troppo pochi, furono presi a sciabolate dai dragoni, e il loro stesso leader montagnardo fu costretto all’esilio per ben 20 anni: tutto il tempo in cui in Francia fu al potere Napoleone III. Da allora la sorte della giovane Repubblica fu davvero segnata.

Su Gabriel Laviron: artista, filologo, litografo, scrittore e antiquario francese, in ogni caso, i rivoluzionari romani poterono contare fino alla fine: si fece ammazzare dai suoi conterranei, indossando la camicia rossa garibaldina. Il grande direttore di questa sinfonia di primavera, lo sappiamo, fu Mazzini e fu proprio grazie alle sue capacità morali, e diremmo anche religiose, che questa Repubblica non degenerò né in un bagno di sangue e tanto meno in formule astratte, in sterili quanto velleitari classismi. Mazzini seppe tenere unito il popolo alle istituzioni e seppe forgiare istituzioni che fossero credibili per il popolo, in cui lo stesso popolo poteva incarnare la forza della legge da applicare. Il suo carisma si impose perché egli non fu uomo di parte ma uomo della Comunità tutta, senza indulgere in sterili quanto inutili antagonismi tra finte destre e finte sinistre, come accade fin troppo spesso miseramente sotto i nostri occhi: “Ho udito parlare intorno a me di diritta, di sinistra, di centro, denominazioni usurpate alla retorica delle vecchie raggiratrici monarchie costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie costituzionali rispondono alla divisione dei tre poteri, e tentano di rappresentarli; ma che qui sotto un Governo repubblicano, ch’è fondato sull’unità del potere, non significano cosa alcuna”. Questo affermava Mazzini il 10 Marzo 1849 alla Repubblica Romana.

Si chiesero allora, con prestiti forzosi, contributi ai più abbienti, si distribuirono case ai più poveri e terre ai nullatenenti, la Repubblica Romana fu la prima in Europa a dichiarare che la credenza era libera e che la fede religiosa non poteva essere una discriminante per l’esercizio dei diritti politici e civili, abolì la pena di morte, fece sparire il ghetto ebraico, concesse ampia autonomia ai Municipi, dai quali ampiamente provennero gli eletti della sua Assemblea Costituente, vennero spezzati i monopoli più abietti, come quello del sale e si cercò di incentivare largamente iniziative per incrementare i lavori pubblici. I malati di mente vennero trasferiti da un reclusorio malsano sulle rive del Tevere in prossimità del S. Spirito, in una villa in collina a Frascati, prima residenza estiva dei gesuiti. Soprattutto si dette il buon esempio, il nuovo esecutivo della Repubblica, infatti, considerando la crisi economia e le ristrettezze, tra i primi provvedimenti che considerò necessari, adottò quello di dimezzare lo stipendio mensile dei suoi membri da 300 a 150 scudi. E senza usarlo strumentalmente per incrementare favori popolari, dato che Saffi ne parlò solo vari mesi dopo la caduta della Repubblica. Purtroppo per un’opera così colossale mancavano le risorse soprattutto finanziarie e fiscali e lo stesso passaggio dalla moneta del papa a quella della Repubblica generò enormi problemi di cambio e di liquidità corrente che impedirono l’attuazione di molti provvedimenti e scontentarono varie categorie di cittadini. Sul piano prettamente pragmatico, quindi, forse più utile sarebbe stato un passaggio graduale, tramite un governo moderato. Ma ciò fu reso impossibile non tanto dalla presenza di Mazzini, quanto dall’ostinata volontà del papa di non voler cedere più ad alcun compromesso, persistendo nel reclamare la necessità di una reazione a tutti i costi verso ogni ostacolo che si opponesse al ritorno di un suo pieno assolutismo.

I moderati come Mamiani, inoltre, non coglievano pienamente la necessità che quella Repubblica fosse un esempio ed un embrione di una istituzione e di un governo da estendere a tutta l’Italia come invece sempre la Repubblica ambì ad essere. Un carteggio tra il rivoluzionario Mameli e il moderato Mamiani sulla possibilità o meno di estendere la cittadinanza anche a chi non fosse romano lo dimostra ampiamente. E la vittoria dei democratici come Mameli, fu anche il preludio ad una democrazia avanzata e basata sullo jus soli, sul fatto cioè che chi lavora e combatte per uno Stato in cui entra e risiede, ha pieno diritto alla sua cittadinanza, che la Repubblica si impegnava a concedere ai residenti immigrati dopo un solo anno. Tutto questo spiega l’ardore con cui, non solo i romani, ma anche tutti coloro che provenivano dall’Italia e dall’estero, combatterono e sacrificarono eroicamente le loro vite a Roma, quando il bonapartismo volle imporre il ritorno del papa re, per mire non religiose ma del tutto egemoniche, per sostituirsi cioè all’Austria nel controllo geostrategico del rinnovato stato vaticano e indirettamente così, del resto d’Italia. La Repubblica Romana emanò la sua Costituzione di un solo giorno il 3 luglio del 1849, perché l’indomani le truppe francesi, ormai padrone della città eterna, imposero la loro tutela al ritorno del papa in veste di re, tuttavia essa non firmò mai, mediante i suoi rappresentanti istituzionali, un atto di capitolazione. E quindi possiamo tuttora considerare il suo governo non soppresso ma sospeso.

Anzi, con i tempi che corrono, dobbiamo considerarlo solo sospeso, sebbene sia passato ormai più di un secolo e mezzo da allora. Perché la libertà che si basa sui diritti e sui doveri, equamente distribuiti tra i cittadini di una Repubblica democratica, non si esaurisce mai. Ed ogni qual volta che essa è minacciata, calpestata, derisa o sopraffatta, non solo con la forza delle armi, ma purtroppo ancor di più mediante l’inedia e l’inerzia dei cittadini che inconsapevolmente, affidandosi ad oligarchi e plutocrati ridiventano sudditi, essa può e deve risorgere, proprio alimentandosi dalle sue sorgenti più pure e trasparenti. Teniamolo a mente oggi, in un momento in cui la sovranità popolare è anche stata seriamente minacciata in Italia dal varo di leggi elettorali liberticide e dal tentativo di rendere ineleggibili direttamente organi istituzionali fondamentali per lo Stato come il Senato della Repubblica. A combattere per la strenua difesa della Repubblica Romana affluirono a Roma anche coloro che non erano repubblicani, non erano comunisti o socialisti, e sebbene la stampa clericale e moderata dell’epoca tendesse a raffigurare i rivoluzionali romani coma una banda di anarchici comunistoidi e facinorosi. A combattere e a morire furono patrioti non solo dell’Italia, ma anche, considerata la presenza di artisti, intellettuali, militari e lavoratori europei di varia provenienza, persino sudamericana, di un mondo libero, di una Europa dei popoli fraterni e solidali. Per questo la memoria di quegli eventi è tuttora non solo un monito, ma anche un esempio da seguire per tutti coloro che sono tentati di reagire all’assolutismo economico e monetario vigente con forme varie di sovranismo autoritario ed autoreferenziale, con improbabili quanto astrusi ritorni a stati nazionali autoreferenziali.

La Repubblica Romana non fu infatti l’esaltazione dello Stato assoluto ma, più concretamente, quella di uno Stato che si inchina davanti ai suoi artefici: i cittadini. Scrive infatti ancora Rusconi: “Qual è il migliore dei governi? Quello che governa meno….la scienza sociale non è in alcuni uomini, ma nelle moltitudini; il movimento rivoluzionario e progressivo non si sprigiona da un individuo, ma da tutto un popolo; gli individui, i singoli uomini non sono nulla, l’azione loro è passata per ciò che riguarda la società; il culto degli individui è irrevocabilmente finito; avviso agli ambiziosi”.

Rusconi credeva anche in qualcosa che oggi è condannato alla damnatio memoriae della peggiore vulgata mediatica italiana, ma che pur ha fatto la storia più illustre di questo paese: il Socialismo, possiamo considerare serenamente e seriamente che quelli come lui fossero concretamente gli antenati dei nostri padri costituenti. Ci credeva ma non volle imporlo a nessuno, lo testimoniò solo con il suo esempio personale, insieme ad altri che credevano in altre forme di democrazia.

Le sue domande sono tuttora le nostre domande e quelle di una Europa che voglia essere più autentica e credibile: “Fra la concorrenza e il monopolio vi è una via di conciliazione? Fra il fatto e il diritto vi è un’oasi di riposo nell’economia e nella società? Fra le teorie del valore e la realtà pratica vi è modo di sopprimere le lotte? Fra il salariato e il capitalista può levarsi la sbarra che mantiene perpetuo l’attrito dei tempi nostri? L’usura può essere tolta dall’ordine del giorno? Il credito può farsi generale? L’industria deve passar perennemente sotto le forche caudine del capitale? E’ equa la bilancia del commercio? Sono eque le tasse, o piuttosto devono sussistere tasse, nel significato di questa parola, in una società ben ordinata? La proprietà, che con la divisione del lavoro, ha subite tante modificazioni, ha raggiunto la sua ultima formula, e deve permanere in uno stadio che condanna alla lunga il proprietario all’atrofia e alla bancarotta, che condanna a un’inevitabile miseria il lavoratore? Non vi è una sintesi da desumere da questo conflitto di interessi, di passioni, di bisogni, da questo cozzo, potrebbe darsi, del vecchio mondo col nuovo? … problemi palpitanti di attualità, come dicono gli stessi francesi, a cui si vuol dar soluzione, e a far tacere i quali riescono inefficaci tutte le baionette del mondo”.

Se quindi vi capiterà di assistere dalle mura del Gianicolo o da porta S. Pancrazio ad un classico e fulgido tramonto romano e scorgerete di lontano rosseggiare le mura del Vascello, oppure, nell’ombra della sera, svettare tra gli alberi l’Arco dei Quattro Venti, ripensando con malinconia alle migliaia di morti che affollarono quelle poche centinaia di metri, eco di tutti gli altri che, nel corso della storia successiva, anche in loro nome, hanno fatto lo stesso andando senza esitazione a sacrificarsi non solo per la Patria, ma ancor di più per la libertà, la democrazia, i beni comuni e la fraternità tra gli italiani e con gli altri popoli, se un’ombra lunga di malinconia ghermirà la vostra coscienza infelice, in particolare nello sconforto dei mala tempora che currunt, non scoraggiatevi, non smettete di lottare, e soprattutto non smettete di credere. Perché abbiamo ancora una Costituzione che è figlia diretta di quella di allora, durata per noi non solo un giorno ma per più di settanta anni.

Sovra l’avel dell’esule,
Sotto la sacra pianta,
Fede diventa il trepido
Desìo dell’alma affranta:
Si fanno eroi gl’ ignavi;
Il gemito de’ schiavi
Si fa de’ forti il fremito,
Si fa terror dei re

(Goffredo Mameli)

Carlo Felici

di Anna Maria Isastia (da www.eurit.it)

Giuseppe Garibaldi fu un uomo d’armi, ma anche un uomo di pace. Nella sua vita la pace e la guerra non erano alternative, ma al contrario, si intersecavano continuamente.  Rimase sempre fedele agli ideali cosmopoliti ed umanitari che indirizzarono tutta la sua vita e la sua attività.

Il suo internazionalismo si inserisce in un percorso coerente che ha le sue radici nel pensiero rivoluzionario europeo dell’età della restaurazione, in particolare nel sansimonismo. È sansimoniano anche l’impegno morale di mettersi a servizio del prossimo oppresso. Come dice lo storico Danilo Veneruso in un saggio del 1982: “Garibaldi nasce internazionalista e muore internazionalista passando per l’intero ciclo del principio nazionale”. Di pace e di federalismo in Europa si parla già negli anni quaranta dell’Ottocento e noi sappiamo che Garibaldi è al corrente dei dibattiti politici e culturali della sua epoca.  Dal 1859 al 1881 il sogno di una Europa confederata domina incontrastato nel pensiero di Garibaldi che diede a vari stati: Gran Bretagna, Francia, Svizzera, ma anche Italia, Belgio , Spagna il compito di porsi alla testa di un simile grandioso disegno

Il suo primo intervento a favore di una nuova organizzazione europea è del 1859. Siamo nel mezzo della seconda guerra d’indipendenza. Il regno di Sardegna insieme all’alleato francese ha sconfitto l’imperatore austriaco, tutta l’Italia è in fermento. Garibaldi dopo aver combattuto con i Cacciatori delle Alpi era stato messo a capo delle formazioni volontarie italiane in Romagna. In questo contesto, 30 agosto 1859, aveva scritto ad un amico inglese prospettandogli la sua idea di una confederazione tra Inghilterra Francia Italia Grecia Spagna Portogallo.   Mentre combatteva una guerra nazionale, Garibaldi superava l’ottica solo nazionale per guardare lontano ad un futuro auspicato. L’Italia ha un posto particolare nel suo cuore, ma lo spettacolo di inglesi, francesi, ungheresi che combattono e simpatizzano per il suo impegno a favore dell’indipendenza e dell’unificazione italiana è una realtà che lo colpisce profondamente. Nel 1860, nel pieno della Spedizione dei Mille per la liberazione della Sicilia e del meridione d’Italia dalla dinastia borbonica, Garibaldi si impegna ad interessare i capi di stato europei a mettere fine alle guerre per dedicarsi al benessere dei sudditi. Nel Memorandum alle potenze d’Europa di ottobre 1860 ( scritto nel Palazzo reale di Caserta subito dopo la battaglia sul fiume Volturno) egli chiede che i governi si facciano paladini dell’unificazione politica del continente che deve diventare un unico grande stato federale .   E’ il progetto di una Unione europea capace di riordinare dalle fondamenta i rapporti tra i popoli nel rispetto dei diritti di ognuno.

Memorandum: E’ alla portata di tutte le intelligenze, che l’Europa è ben lungi di trovarsi in uno stato normale e convenevole alle sue popolazioni. La Francia, che occupa senza contrasto il primo posto fra le potenze Europee, mantiene sotto le armi seicentomila soldati, una delle prime flotte del mondo, ed una quantità immensa d’impiegati per la sua sicurezza interna. L’Inghilterra non ha il medesimo numero di soldati ma una flotta superiore e forse un numero maggiore d’impiegati per la sicurezza dei suoi possedimenti lontani.  La Russia e la Prussia, per mantenersi in equilibrio, hanno bisogno pure di assoldare eserciti immensi.  Gli Stati secondari, non foss’altro che per ispirito d’imitazione e per far atto di presenza, sono obbligati di tenersi proporzionalmente sullo stesso piede.  Non parlerò dell’Austria e dell’Impero Ottomano dannati, per il bene degli sventurati popoli che opprimono, a crollare.  Uno può alfine chiedersi: perché questo stato agitato e violento dell’Europa? Tutti parlano di civiltà e di progresso….A me sembra invece che, eccettuandone il lusso, noi non differiamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini si sbranavano fra loro per strapparsi una preda. Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e reciprocamente, mentre che in Europa la grande maggioranza, non solo delle intelligenze, ma degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la povera nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia e di ostilità degli uni contro gli altri, e senza questa necessità, che sembra fatalmente imposta ai popoli da qualche nemico segreto ed invisibile dell’umanità, di ucciderci con tanta scienza e raffinatezza.  Per esempio, supponiamo una cosa: Supponiamo che l’Europa formasse un solo Stato. Chi mai penserebbe a disturbarlo in casa sua? Chi mai si avviserebbe, io ve lo domando, turbare il riposo di questa sovrana del mondo? (…) La base di una Confederazione Europea è naturalmente tracciata dalla Francia e dall’Inghilterra. Che la Francia e l’Inghilterra si stendano francamente, lealmente la mano, e l’Italia, la Spagna, il Portogallo, l’Ungheria, il Belgio, la Svizzera, la Grecia, la Romelia verranno esse pure, e per così dire istintivamente ad aggrapparsi intorno a loro.  Insomma tutte le nazionalità divise ed oppresse; le razze slave, celtiche, germaniche, scandinave, la gigantesca Russia compresa, non vorranno restare fuori di questa rigenerazione politica alla quale le chiama il genio del secolo.

Dagli avvenimenti militari del 1859 e 1860 Garibaldi trae le premesse della possibilità per l’Europa di un avvenire di libertà e fratellanza da cui bisogna escludere i simboli della conservazione (Papato, Austria, Turchia) Abbattuti questi emblemi, l’Europa poteva strutturarsi dall’Atlantico agli Urali in una confederazione dove l’arbitrato internazionale avrebbe appianato tutte le controversie. Per Garibaldi dunque il passaggio dalla nazione all’Europa non è che la naturale conseguenza delle conquiste della rivoluzione, la forma più moderna della fedeltà alla causa di emancipazione collettiva e individuale che egli ha sempre servito.  Anche in questo caso troviamo una non piccola differenza tra il generale nizzardo e Giuseppe Mazzini. Mazzini è convinto della necessità di liberare prima tutte le nazionalità oppresse per ottenere poi la pace come naturale conseguenza della situazione di fraternità tra stati retti a repubblica. Garibaldi, più concreto e pragmatico, lavora contemporaneamente in tutte le direzioni, forse maggiormente consapevole dei tempi lunghi necessari al raggiungimento di certi obiettivi.

Nel 1862 Garibaldi organizza una nuova spedizione che partendo dal sud della penisola, dovrebbe raggiungere il Lazio per liberare Roma. La spedizione si concluse sulle montagne dell’Aspromonte in Calabria, ma a noi interessa il fatto che il 31 luglio 1862  il proclama di Garibaldi che tenta la liberazione di Roma inizia nel nome dell’Europa.  Ferito e fatto prigioniero, il 28 settembre 1862, dalla fortezza del Varignano, Garibaldi si rivolge alla “libera e generosa Inghilterra perché spinga Francia, Svizzera, Belgio e America a marciare sulla via umanitaria proponendo alla nazione Inglese la convocazione di un congresso mondiale che evitando le guerre possa giudicare dei contrasti insorti tra i vari paesi“. Un anno dopo, a settembre 1863, Garibaldi accetta la nomina a presidente di una Association pour la création de congrès démocratique che ha vita breve.  Nel luglio 1864, tornato dall’entusiasmante viaggio in Inghilterra che testimoniò al mondo intero la popolarità incredibile di cui godeva, Garibaldi ribadì il suo legame con gli ideali pacifisti scrivendo a Edmond Potonié fondatore della Ligue universelle du bien public:  “Votre entreprise est sainte. Les difficultés qui l’entourent augmentent le devoir de tous les amis de la fraternité des peuples de l’encourager de leur parole et de l’aider de tous leurs efforts. Si mon nom peut vous etre utile, il est à vous et à la cause à laquelle nous nous sommes consacrés“.

Nella primavera del 1867 il suo nome si mescolò a quello di tanti altri personaggi che si mobilitarono contro il pericolo di una guerra europea. La stampa dell’epoca diede risalto ai suoi inviti ad imitare gli operai di Parigi e di Berlino che avevano votato mozioni contro la guerra: ”Sappiano una volta i popoli: che volendo concordi, essi possono rovesciare nella polvere per sempre il sacerdozio dell’ignoranza, ed il dispotismo che impedirono sin ora alle razze umane di affratellarsi“. Il 24 maggio aggiunse: “E’ tempo che le Nazioni si intendano senza bisogno di sterminarsi. E’ tempo che il ferro adoperato per terribili apparecchi di distruzione lo sia d’ora innanzi per macchine ed utensili giovevoli al popolo che manca di pane. E’ tempo infine che le classi laboriose e sofferenti di tutti i paesi, per mezzo di un concordato universale, eretto in Costituente, annunzino all’oligarchia disordinata, tumultuosa e battagliera che il tempo è finito!….. Compiamo ciò che essi non hanno giammai voluto: la fratellanza delle nazioni. E che il primo articolo del nostro patto sia: La guerra è impossibile tra fratelli”.

A giugno aderì al congresso di Ginevra, insieme ad altri democratici italiani come Giuseppe Dolfi, Giuseppe Mazzoni e Mauro Macchi. Interessante ricordare che tutti e quattro erano anche massoni. Il Comité central del 1867 volle dargli la presidenza onoraria del congresso. La sua popolarità, le sue dichiarazioni in favore della pace, i suoi stretti legami con tutto l’associazionismo democratico e massonico europeo ne facevano il candidato ideale.  Il comitato organizzatore scrisse: ”Ce nom est à lui seul le plus net des programmes. Il veut dire héroisme et humanité, patriotisme, fraternité des peuples, paix et liberté”. Garibaldi nella primavera estate del 1867 stava preparando la spedizione nell’Agro Romano, con la speranza di poter spazzare via anche l’ultimo residuo di territorio pontificio. Si voleva liberare Roma per farne la capitale d’Italia e concludere il processo di unificazione nazionale, riprendendo il progetto fallito nel 1862.  Ad agosto decise comunque di recarsi a Ginevra, spinto da quanti temevano le conseguenze del suo ultimo progetto militare, ma soprattutto attirato dall’enorme clamore che circondava ormai il programma di questo incontro, anche per la sua presenza. In altre parole, la notizia che Garibaldi avrebbe partecipato al congresso della pace aveva reso estremamente popolare tra i democratici l’iniziativa degli organizzatori.  Garibaldi ritenne anche che dal palcoscenico di Ginevra avrebbe potuto attaccare il papato, fare appello all’appoggio delle coscienze liberali europee nella lotta che egli stava per iniziare contro quella istituzione che egli considerava “nemica di tutti i popoli, causa prima di tutte le guerre, il più potente alleato di tutti i dispotismi“.  Può sembrare un controsenso presiedere un congresso di pace per parlare di guerra, ma lo stretto collegamento con la democrazia portava ad approdi differenti. Come scrisse il democratico Giuseppe Ceneri si trattava di condannare le cause che impediscono il raggiungimento della pace. Non era la pace dell’asservimento ad un potere dispotico quella che reclamavano i democratici europei, ma una pace duratura basata sulla libertà e sulla giustizia.

Garibaldi era sicuro di ottenere il massimo delle adesioni alla sua guerra contro il papa Pio IX che nel 1864 aveva emanato il Sillabo, un documento che in ottanta proposizioni condannava senza appello tutte le conquiste della rivoluzione francese e dell’Ottocento liberale. Il papa aveva detto di no alla libertà di stampa, di riunione e di associazione, al sistema rappresentativo e alla libertà delle coscienze. Bisognava abbattere il potere teocratico del papa, una “institution pestilentielle” per il generale nizzardo.  Agli inizi di settembre Garibaldi lascia Firenze seguito dall’interesse di tutta la stampa europea che si interroga sui motivi di questo viaggio non preannunciato. L’8 settembre arriva a Ginevra accolto in trionfo.  Il 9 settembre nella seduta di apertura dei lavori Garibaldi sottopose al giudizio del congresso una serie di proposizioni, in parte politiche e in parte religiose. Alcune entusiasmarono la platea, mentre altre sollevarono malumori e proteste.

1 – Tutte le nazioni sono sorelle
2 – La guerra fra loro è impossibile
3 – Le eventuali controversie saranno giudicate dal congresso
4 – I membri del congresso saranno nominati dalle società democratiche di ciascun popolo
5 – Ogni nazione avrà il diritto di voto al congresso, quale che sia il numero dei suoi membri
6 – Il papato, come la più perniciosa delle sette, è dichiarato decaduto
7 – La religione di Dio è adottata dal congresso e ciascuno dei suoi membri si impegna di propagarla in tutto il mondo

Era un po’ la sintesi del congresso, ma con un inserto religioso che sconcertò non poco i congressisti. Mentre infatti fu accolta da una vera ovazione la frase “la papauté, comme la plus nuisible des sectes, est déclarée déchue d’entre les institutions humaines”, fu invece poco apprezzata la proposta di Garibaldi di sostituire la religione delle rivelazioni con la religione della verità, della ragione e della scienza. Le proposte fatte da Garibaldi nel 1867 mostravano la maturazione del suo pensiero rispetto a quanto proposto nel 1860 e anticipavano i progetti di organizzazioni internazionali del Novecento.  Tutti i relatori intervenuti al congresso resero omaggio all’eroe e all’uomo. Garibaldi fu presente soltanto alle due prime sessioni di lavoro, ma si assentò proprio nel momento in cui cattolici e bonapartisti cercarono di affondare il congresso e la stampa locale diventava critica. La sua partenza, a congresso ancora aperto, diede motivo ad inquietudini e accuse di fuga. In realtà Garibaldi aveva fretta di tornare a Firenze per completare i preparativi per la spedizione armata nel Lazio.

A Jules Barni lasciò la seguente lettera: Mio caro Barni,  La Confederazione di tutte le libere democrazie che avete proclamato ieri procederà lentamente, ma procederà.  L’organizzazione di un’associazione universale e durevole degli amici della libertà, stabilita in permanenza a Ginevra, sarà un bel risultato per il congresso internazionale della pace.  Terminiamo la nostra missione democratica mondiale proclamando: la Religione universale di Dio, che ai preti Arbués e Torquemada sostituisce il sacerdozio dei Leibniz, dei Galilei, dei Keplero, degli Arago, dei Newton, dei Quinet, dei Rousseau ecc.  Avremo così imboccato il sentiero che ci deve condurre alla fratellanza dei popoli e cementare in modo durevole il patto della pace universale.  G. Garibaldi

Può sembrare singolare il fatto che Garibaldi celebri la pace e provochi la guerra a distanza di pochi giorni, eppure la Spedizione dell’Agro Romano dell’ottobre 1867 si pone ai suoi occhi come la naturale conseguenza della prima. Mentana dunque non si spiega senza Ginevra ed è lo stesso Garibaldi a scriverlo nelle sue <Memorie>. Il generale era andato a Ginevra per ottenere consensi e spiegare la sua guerra all’opinione pubblica democratica. Gli schiavi non avevano il diritto di muovere guerra ai tiranni? Ebbene gli schiavi erano i romani, i tiranni erano il papa e Napoleone III ed era giusto muovere loro guerra in nome della libertà.  Nell’autunno del 1867, durante la spedizione di Garibaldi, l’ormai anziano Carlo Cattaneo parlerà di Stati Uniti d’Europa facendo riferimento agli studenti francesi, tedeschi e spagnoli che si erano uniti alla spedizione.  Nei successivi congressi della Lega, Garibaldi continuò ad esercitare una notevole influenza anche se non partecipò più fisicamente ai lavori, insistendo perché si giungesse alla formulazione degli Stati Uniti d’Europa e all’arbitrato internazionale.  La caduta del Secondo Impero e la fine del potere temporale sembrarono il segno di un destino inarrestabile: sembrava che ci si stesse avvicinando all’Europa dei popoli.  La presenza di Garibaldi in Francia nel 1870-71 a difesa della fragile repubblica in guerra con la Germania apparve il coronamento di una vita spesa ad inseguire il concretizzarsi dei suoi ideali, ma la politica di potenza della Germania e la reazione conservatrice in Francia dimostrarono quanto fosse lontana la possibilità di una Europa unita.  Ma Garibaldi non sembra rinunciare ai suoi ideali. Nel 1872 scrive all’imperatore Guglielmo I invitandolo a non abusare della vittoria e ad organizzare un Congresso internazionale (una sorta di Onu).  In quello stesso 1872 scrive anche a Bismarck suggerendogli l’iniziativa di un Arbitrato mondiale che renda impossibili le guerre tra le Nazioni.
Gli ultimi anni Garibaldi li passa a Caprera affidando alla pagina scritta i suoi pensieri.  Nel suo ultimo romanzo il “Manlio” che descrive una lotta tra il bene e il male troviamo ancora una esaltazione dell’arbitrato internazionale, della fine delle guerre, dell’unione dei popoli visti come tappe sicure del progresso umano. I rapporti di Garibaldi con i responsabili della Ligue International de la paix et de la liberté rimasero ottimi. Nel 1877 il presidente Charles Lemonnier scriveva a Garibaldi per tenerlo informato della attività svolta e dei programmi per il futuro. “Prepariamo per il prossimo anno una grande Assemblea della pace e della libertà che dovrà tenersi a Parigi durante l’Esposizione universale. Speriamo che voi verrete a prendere il posto che vi è dovuto”.

Nel 1881, un anno prima della morte, in una lettera ad un deputato francese suo amico torna a ripetere:  ecco lo scopo che dobbiamo raggiungere; non più barriere, non più frontiere”.
Garibaldi dunque, pur avendo combattuto tutta la vita per il trionfo delle libere nazionalità, è anche un convinto assertore dell’unione dei popoli europei.  Per lui il passaggio dalla nazione all’Europa non è che l’ultimo e necessario atto delle conquiste della rivoluzione, la forma più moderna di fedeltà alla causa di emancipazione collettiva e individuale che egli ha sempre servito

14 maggio 2012
21:00a23:00

Martedì  15 Maggio 2012 alle ore 21,00 a Roma, Via Caffaro, 10,

il Gruppo Laico di Ricerca completa l’approfondimento sulla presenza di Giuseppe Mazzini a Roma nel marzo del 1849. Fu un evento memorabile per la Repubblica Romana nascente ma anche per le aspettative di moltissimi Italiani che vedevano concretizzarsi la possibilità di fondare un nuovo Stato libero e repubblicano nel cuore dell’Italia.

Lunedì 16 Aprile 2012 alle ore 11,00 presso la Sala Convegni della Federazione Nazionale della Stampa, Corso Vittorio 349 Roma,
l’Associazione Mazziniana Italiana celebrerà l’anniversario della Repubblica Romana con un incontro in cui si alterneranno interventi di studiosi con il coro degli studenti della scuola Nazario Sauro, che eseguirà alcuni brani risorgimentali

 

“L’anima mi s’abbevera di tristezza, pensando al povero Popolo d’Italia, buono ma ineducato. D’onde mai avrebbe esso potuto desumere educazione? E, come tutti i Popoli ineducati, facile ai traviamenti, ai subiti sconforti, al dubbio su tutti e su tutto.”

 La riflessione di Giuseppe Mazzini, in questo incipit amaro della lettera a Francesco Crispi, scritta nel 1870 dopo aver preso atto del repentino cambiamento politico dell’ex garibaldino, è quanto mai attuale. Il trasformismo che da qualche secolo condiziona pesantemente il nostro DNA culturale, si manifesta ancora oggi in ogni aspetto della vita pubblica o privata del nostro Paese ed è la cartina di tornasole di un popolo ineducato; ovvero di un popolo privo di un’ossatura etica e civile, di una base solida su cui costruire l’avvenire.

 Di trasformismi e ruberie siamo tutti testimoni; eppure, malgrado lo sgretolamento progressivo di quel poco di società sana che ancora rimane nel nostro modello democratico, l’ineducazione ci impedisce di resistere perché siamo predisposti ai traviamenti, ai subiti sconforti, al dubbio su tutti e su tutto.

Dove sono coloro che hanno predicato per decenni la forza dell’associazionismo e l’affermazione dei diritti? I giovani che ieri, come Formigoni o Maroni, nelle piazze cantavano “libertà è partecipazione”, oggi, direbbe Mazzini, predicano inerzia, sommessione, fiducia illimitata nel principe, l’ateismo del lasciar fare a chi spetta.

Le parole di Garibaldi, poi, come sempre chiare e dirette, descrivono senza necessità di commenti la qualità di alcuni politici che dall’ottocento a oggi hanno sottomesso l’Italia:

Al governo della cosa pubblica poi, giacchè i padroni regnano o imperano e non governano, vi si collocano sempre coloro che ne son meno degni, od i più atti a governare, non volendo i despoti gente onesta a tali uffici, ma disonesti come loro, striscianti e corruttori parassiti, coll’abilità della volpe o del coccodrillo. Ciò non succede soltanto nelle monarchie dispotiche, più o meno mascherate da liberali, ma spesso anche nelle Repubbliche, ove gl’intriganti s’innalzano sovente ai primi posti dello Stato, ingannando tutto il mondo con ipocrisie e dissimulazioni, mentre gli uomini virtuosi e capaci, perché modesti, rimangono confusi nella folla, a detrimento del bene pubblico. (Giuseppe Garibaldi – da “I Mille”1874)

 Oggi abbiamo tutti un disperato bisogno di esempi positivi, di proposte rivoluzionarie e concrete che riconsiderino l’uomo al centro di tutto, con i suoi bisogni e le sue potenzialità, sottraendolo all’influenza del mercato che lo ha già da tempo declassato a ruolo di consumatore o a pura merce di scambio. Abbiamo bisogno di liberarci dalla schiavitù servile a questo o quel politico di turno, dalla mafiosità clientelare, dall’arroganza di chi detiene il suo piccolo o grande potere per interessi personali o per dominare le coscienze.

 Sempre Mazzini nella lettera a Crispi:

L’Italia nascente cerca in oggi il proprio fine, la norma della propria vita nell’avvenire, un criterio morale, un metodo di scelta fra il bene e il male, tra la verità e l’errore, senza il quale non può esistere per essa responsabilità, quindi non Libertà. L’Italia nascente ha bisogno d’uomini che incarnino in sé quel Vero nel quale essa deve immedesimarsi; che lo predichino ad alta voce, lo rappresentino negli atti, lo confessino, checchè avvenga, fino alla tomba.. Così si eviterà di piegarsi al giogo del primo padrone straniero o domestico, che vorrà inforcare di tirannide una Italia fiacca, irresoluta, sfiduciata di sé stessa e d’altrui, senza stimolo di onore e di gloria, senza religione di verità e senza coraggio di tradurla in opera.

 E allora ciascuno di noi diventi maestro e discepolo, con umiltà, dei figli della nuova Italia, nelle città e nelle campagne, nella scuola e nel lavoro. Ciascuno di noi scelga gli uomini migliori per amministrare il territorio e respinga con decisione i corrotti e i corruttori, gli affamati di potere e di denaro, i divoratori del bene comune.

Paolo Macoratti

 L’Italia deve risorgere subito da queste ceneri umane o sarà la fine della nostra cultura e della nostra identità.

Nel grande frastuono e nel chiacchiericcio mediatico, nella pletora di discorsi che si fanno con la scusa dell’emergenza, credo che l’emergenza sia già una forma di costruzione del potere per giustificare cose altrimenti ingiustificabili, ma se c’è l’emergenza,
allora dobbiamo giustificare, allora si continua a parlare di questa emergenza, si dicono cifre, dati, il lavoro, la disoccupazione e si è smesso tendenzialmente, ammesso che lo si sia mai fatto, di parlare delle questioni di fondo, delle questioni che attengono all’essere umano, nessuno si fa più le domande sulle questioni di senso, credo che una delle grandi devastazioni fatta alla nostra società, è la distruzione del senso, noi siamo affidati a una deriva di significati che non hanno più un orizzonte ampio, tutto è asfittico, tutto fluisce e credo che questa sia invece la grande questione, cos’è vivere una vita? Che significato ha l’esistenza di un essere umano, di una società di esseri umani su questa terra? Perché siamo qui? Come possiamo starci?
Siamo stati confinati progressivamente dentro un’asfittica gabbia economicista, ciò che conta sono solo i numeri dell’economia, la prima notizia che ci viene data è come si comportano i mercati, come reagiscono i mercati, noi teoricamente viviamo i sistemi democratici in cui andiamo a fare un rito sempre più vuoto di senso, che è quello dell’elezione, credendo di mandare a governarci delle persone sulla base di un programma. Il programma non si sa quasi mai, sappiamo delle chiacchiere televisive, non del programma. In realtà i cittadini elettori non hanno in gran parte la formazione culturale, gli strumenti critici per leggere un programma e per sapere costruire una differenza tra programma e propaganda, noi ascoltiamo propaganda elettorale, non programmi elettorali. Andiamo a fare questo rito svuotato dell’elezione, per poi scoprire che il nostro destino non sarà deciso veramente in fondo da quelli che abbiamo mandato lì o solo in parte, ma che esiste un coagulo di forze economiche chiamati “mercati” che decidono del destino economico di un paese e quindi del suo destino tout court, visto che oggi tutto è economia, ma noi non eleggiamo i mercati, noi li subiamo. Allora già questo ci dimostra che noi non siamo una reale democrazia, ma una democrazia molto formale e sostanzialmente fittizia, in particolare in Italia. L’Italia del berlusconismo è stata la cloaca dei sistemi pseudodemocratici d’Europa, il punto dello scarico, il pozzo nero della sua forma ridicola e nefasta, ma è un problema generale.
Adesso il berlusconismo sembra essere al suo crepuscolo, non lo sappiamo ancora perché ha catalizzato antichi vizi dell’italica gente e dell’italica politica, Il berlusconismo è il sintomo, la malattia è un’altra, è un coagulo di malattie che forma una patologia, conformismo, servilismo, opportunismo, “tengo famiglia”, che hanno portato l’Italia nel fascismo e 40 anni dopo hanno portato il berlusconismo. Allora è lì che bisogna andare a vedere. Ma per vedere le malattie profonde di un corpo sociale, bisogna porre la questione del senso, cosa significa un corpo politico? Ho scoperto, che uno dei padri della patria, Giuseppe Mazzini, del quale non avevo grande considerazione, trovavo indecoroso che un leader politico risorgimentale di quella che doveva essere una rivoluzione, nazionale, scrivesse come suo libro programmatico invece che dei diritti, dei doveri. Parlava di doveri a un popolo di contadini, braccianti, stremati da poteri brutali, arbitrari, aristocratici, oppressivi di cui erano sudditi.

Per questo non ho mai approfondito la figura di Mazzini, scopro casualmente, perché nessuno me l’ha insegnato a scuola, che Mazzini dice delle cose sconvolgenti sull’idea di patria e di nazione. Mazzini dice che una patria e una nazione non sono i confini, ma è un tessuto sociale in cui, in cui non ci sono privilegi, in cui gli uomini sono uguali di fronte alla legge, dunque è patria un luogo dove c’è la dignità del lavoro, dove a ogni essere umano è data possibilità con le sue capacità d’opera di costruirsi una vita uguale a quella degli altri per dignità e per diritto. Questo è un senso, altrimenti cos’è un paese? Per esempio cos’è per Silvio Berlusconi un paese come l’Italia? La sua cultura?No. Cos’è in fondo l’Italia di Berlusconi? Una serie di aziende che dovrebbero essere libere di fare i cazzi propri, anche di malversare, di evadere la legge e di evadere le tasse! Perché un’Italia così ha potuto passare presso i cittadini? Perché l’idea di appartenere a un paese, a un tessuto sociale, quel senso che è stato costruito nella nostra Costituzione repubblicana è andato totalmente perduto in una parte molto consistente dei cittadini italiani, così malconci dal punto di vista dello status di cittadinanza che ti garantisce dignità sociale e politica, che non conoscono neanche l’Art. 1 della Costituzione: “Il fondamento, l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, perché solo se c’è lavoro e se c’è dignità sul lavoro, noi possiamo parlare di democrazia, senso, ma questo è stato completamente distrutto a favore della flessibilità, dei Co. Co. Co., dell’interinale, dell’innalzamento dell’età pensionabile e degli affari di lor signori.
Dunque l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, senso, ma l’articolo non finisce qui, dice: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, quanti in Italia sanno che sovrano non è il popolo, ma è la Costituzione, proprio per evitare le derive populiste che rischierebbero di riportare dittature. Silvio Berlusconi e i suoi cortigiani e sgherri non hanno fatto altro che ripetutamente parlare di sovranità popolare, senza sapere quello che dicevano, oppure sapendolo, ma i cittadini che li votavano ci hanno creduto, perché? Perché non sanno qual è il senso profondo su cui la nostra democrazia è stata fondata.
La nostra democrazia fa riferimento a un senso ancora più lontano che viene addirittura dall’origine dei monoteismi, quando l’idolatria del potere è sconfitta da una narrazione. Gli esseri umani sono tutti uguali perché hanno un solo padre e una sola madre. Visto che Dio è padre e madre, è un’intuizione poderosa, è un lungo cammino di senso, che demolisce il non senso del potere, il significato del potere che è oppressione, è arbitrio sugli uomini e lo sostituisce con la centralità dell’uomo e della vita, della dignità, della sacralità, della santità, dell’uguaglianza e dell’autonomia di ogni essere umano rispetto al potere.
Ma questo senso è qualcosa sul quale noi non discutiamo, se non in Festival sulla spiritualità, o i Festival sulla letteratura, ma non ne sentiamo discutere nella nostra televisione. Questo senso, quando sentiamo parlare di lavoro, ci dovrebbe portare a parlare del lavoratore, dell’essere umano che è il lavoratore, noi sentiamo parlare di troppo carico pensionistico, cassa integrazione, naturalmente Art. 18 sì, Art. 18 no, ma gli uomini? Non parliamo dell’uomo, cos’è la vita? Il lavoro non dovrebbe essere il tempo – spazio in cui un essere umano costruisce un progetto di sé, per sé, per la sua famiglia, per la società, non è più questo, parliamo di numeri, non parliamo di uomini. Ci siamo occupati dei tiramenti priapici di un omino piccolo, piccolo per 17 anni, ma non ci occupiamo dell’umanità di questo nostro paese e della nostra Europa. La vita degli esseri umani non ci interessa? La vita del pianeta non ci interessa? Diventiamo sovversivi se chiediamo che al primo posto venga messa la centralità dell’essere umano, della vita sul pianeta, del mondo animale, del mondo vegetale, del nostro habitat, della costruzione di futuro. Non siamo più neanche in grado di piantare alberi per il futuro, i nostri contadini piantavano alberi di cui non avrebbero visto i frutti né loro, né i loro figli, ma i loro nipoti. Noi non siamo più in grado di fare questo, perché? Perché abbiamo alterato il senso stesso della vita.
La mancanza di cultura
Steve Jobs che era un uomo davvero di profondità di visione, al di là del giudizio che se ne possa dare, dice che la morte fa parte della vita, perché costruisce. La morte è l’evento che costruisce il nuovo spazio alla vita e il fatto che la vita evolva per avere un suo ciclo e senso.
Per cui se questo accade, se c’è il senso della vita, i giovani trovano spazio, ma quando dei vecchi indegni si tirano come dei palloni e cercano di avere, o perlomeno dichiarano, perché poi “de facto” non ce l’hanno, un’attività sessuale da diciottenne, è chiaro che è una catastrofe per l’alleanza intergenerazionale che dovrebbe essere un passaggio di testimone, una collaborazione in cui ciascuno svolge il suo ruolo, non si tratta qui di dire “Largo ai giovani”. Si tratta di ripristinare l’alleanza tra generazioni perché è questa che costruisce il senso, è questa che dà senso alla vita.
Noi siamo arrivati a una situazione in cui è stato completamento cortocircuitato il senso dell’esistenza e perché avvengano i fenomeni sociali politici e economici virtuosi, si restituisca la parola al senso e che si dibatta di senso e dell’orizzonte di senso che vogliamo darci, perché altrimenti ricadremo negli stessi vizi. Il problema non è il berlusconismo, Berlusconi è un uomo di 75 anni, potrà forse viverne 85/90, se ne va prima o poi, il problema è perché Berlusconi ha potuto fare quello che ha fatto e i politici che verranno sono il problema, faranno subito la legge sul conflitto di interessi? Faranno una nuova legge sull’informazione? Metteranno la questione culturale nei primi posti dell’agenda politica? Perché le vere questioni sono culturali, non politiche, il berlusconismo è stato prima di tutto una questione culturale. Berlusconi ha imposto la sua sottocultura televisiva, la cultura di tette e culi e di tutta questa roba, poi vincere le elezioni è stato schioccare le dita! E non c’era nessuna preparazione a contrastare questa cultura da parte dell’opposizione, perché la questione culturale non è nell’agenda. La questione culturale è la madre di tutte le questioni, perché c’è un problema di cultura politica, di cultura economica, non solo la cultura tout court.
Dico sempre: togliamo all’Italia Dante. il melodramma, le sue bellezze monumentali, il Rinascimento etc.. Togliamo tutto il cinema, Fellini, vendiamolo ai giapponesi non è più nostro, che cos’è l’Italia? Con tutto il rispetto per l’impresa? Cos’è il tondino metallico di Brescia? È questo che fa l’Italia? Siamo arrivati al punto che un Ministro della Repubblica si è permesso di dire che Dante non si mette nei panini e questo non ha provocato scandalo. Se in Francia un Ministro della Repubblica avesse detto Rassin o Proust non si mette nei panini, non mostrava più la faccia fuori casa.
Allora è questione di senso e questione culturale che ci permette di attivare nei nostri cittadini gli strumenti critici che poi permettono di scegliere, perché è evidente che c’è un vastissimo strato della nostra popolazione che non ha strumenti critici per valutare la realtà e che vota sulla base del sorriso del candidato, o balle spaziali che racconta perché dispone di televisioni. Io dico sempre scherzando, ovviamente è una battuta, che se avessi avuto i mezzi di Berlusconi sarei riuscito nel giro di due o tre anni a far sventolare la bandiera rossa sul Vaticano con il consenso del Papa, naturalmente è un iperbole e una battuta. Ma perché si è lasciato tutto questo? Perché mancavano nella classe politica gli strumenti culturali e gli strumenti critici per capire quale era la questione delle questioni e ancora oggi si parla di fiera del berlusconismo ma non si parla, come si dovrebbe parlare di legge sul conflitto di interessi, ma non basta, anche di una legge sull’informazione che impedisca a un solo uomo di avere tanto potere mediatico. Perché? Perché ancora ci si affida all’improvvisazione, all’emergenza, non si ha quell’orizzonte di senso che ti permette di riflettere sulle leggi che devi varare per costruire un orizzonte di dignità e di rispetto dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Grazie per l’ospitalità e spero che non sia l’ultima volta.

Moni Ovadia

(tratto dal Blog di Beppe Grillo il 21/11/2011)

In questi ultimi anni, malgrado le ricorrenze istituzionali che dal 2007 al 2011 hanno fatto riaffiorare personaggi e storie del Risorgimento Italiano, si è riscontrato nella popolazione un generale e consistente calo d’interesse per quelle figure fondamentali della nostra storia che nell’immediato dopoguerra avevano assunto, soprattutto in ambito scolastico, un ruolo importante di riferimento culturale. Se le cose fossero andate diversamente, il mito di Giuseppe Garibaldi  avrebbe potuto essere sostituito da una costruttiva riflessione sull’uomo, sul condottiero e sul politico. E’ accaduto invece che le potenziali risorse che avrebbero potuto trasmettere alle giovani generazioni valori e ideali di base su cui costruire nel tempo una più solida identità nazionale, hanno assunto sempre più i connotati di una pura idealizzazione retorica; molto celeste e poco terrena.

Constatiamo così che personaggi come Mazzini e Garibaldi, veri Padri della Patria, che dovrebbero essere attentamente e costantemente studiati e approfonditi nelle scuole, e non salire solo alla ribalta nelle celebrazioni di questo o quell’anniversario, sono oggetto di interesse e di studio oltre i confini dell’Italia.

Testimonianza reale di questo paradosso è l’associazione Garibaldina Tedesca “Garibaldi Gesellschaft Deutschland”, fondata dal Dott. Thilo Fitzner, docente di teologia e responsabile delle politiche di formazione e istruzione presso l’”Evangelische Akademie Bad Boll”, che ne è il Presidente. Il dott. Fitzner e un gruppo di “volontari” tedeschi, appassionati dell’epopea garibaldina e delle gesta di Garibaldi, si sono organizzati e hanno affrontato un viaggio in Italia ripercorrendo l’itinerario dell’impresa dei Mille. Giunti a Roma hanno preso contatto con alcuni membri della nostra associazione e hanno costituito il 19 Marzo 2010, una volta tornati in Germania, la suddetta “Garibaldi Gesellschaft Deutschland”. Nel logo dell’Associazione, alla figura dell’Eroe dei due Mondi, è stata affiancata l’indimenticabile Anita, e i loro due cuori palpitanti ci parlano ancora d’amore e libertà.

  

L’associazione “Garibaldini per l’Italia” è lieta di accogliere i membri tedeschi della “Garibaldi Gesellschaft Deutschland” come fratelli, e auspica che nel futuro si possano consolidare i contatti e gli scambi culturali tra le nostre associazioni, nello spirito del progresso e della libertà dei popoli.

Paolo Macoratti                                                                                                                                                                                                                       Presidente GpI

 

Il 16 Giugno 2011 le Associazioni Gruppo Laico di Ricerca e Garibaldini per l’Italia  hanno guidato, nell’ambito delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, la Fiaccolata commemorativa che si è svolta a Roma sul colle del Gianicolo, per celebrare il 162° anniversario della difesa della Repubblica Romana del 1849. Polizia, Carabinieri e Vigili Urbani hanno scortato il corteo che, partendo dall’Arco dei Quattro Venti (Villa Corsini), all’interno di Villa Pamphili, si è snodato toccando punti nevralgici della difesa di Roma del 1849: Villa Giraud (il Vascello), Porta San Pancrazio, Villa Savorelli, passando per il Piazzale Garibaldi, fino al Sacrario dei caduti per Roma.

 Le celebrazioni del nostro Risorgimento sono prevalentemente retoriche; non solo per la presenza unilaterale degli “addetti ai lavori” che, in sostanza, si auto-celebrano, ma per l’assenza del mondo giovanile e di quello straordinario bagaglio culturale ottocentesco, rimasto sconosciuto a gran parte della popolazione italiana. La “processione laica” del 16 giugno ha invertito questa tendenza, dimostrando che esiste ancora, in nuce, la volontà inconscia di alcuni Italiani di sentirsi membri di una comunità che ha in custodia una riserva immensa di valori, decisivi per migliorare la condizione umana e civile di ciascun cittadino.

 Una “processione laica”, come è stato detto più volte, durante la quale il pensiero e le parole di Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Carlo Pisacane, Pietro Calamandrei, uniti ai nomi di 41 caduti per la Repubblica Romana, sono echeggiati nei luoghi stessi ove 162 anni prima avevano prevalso il fragore delle armi e il lamento dei feriti. Parole e concetti importanti, ancora oggi attualissimi; parole e concetti inascoltati o dimenticati, e per questo ancora in attesa di un popolo che li possa  realizzare compiutamente. Una stagione, quella della Repubblica Romana del 1849, fondamentale per le nostre radici storiche e culturali. Durante il percorso, mentre le strade si svuotavano, come per incanto, dalla presenza delle automobili che pochi secondi prima le avevano affollate  (grazie al sapiente coordinamento delle forze dell’ordine),  un silenzio irreale avvolgeva tutto e la storia fatta da quegli uomini e quelle donne di 162 anni fa tornava a scuotere i pensieri dei partecipanti, a mostrar loro la cruda realtà dei nostri giorni, la realtà di un popolo che non è ancora in grado di far germogliare i semi prodotti dai suoi figli migliori. Mentre la  luna rossa sorgeva a oriente e la lunga fila delle fiaccole accese camminava,  con cadenza di tamburo solenne, verso il Sacrario, riaffiorava per incanto la speranza che univa questo popolo a quello che aveva difeso la Repubblica Romana: la presenza dei giovani e anche di molti bambini.

Essere Garibaldini, oggi, non significa soltanto essere presenti alle celebrazioni in cui si fa memoria degli eventi e dei personaggi legati al Risorgimento; e neppure soltanto ricordare  coloro che, pur non essendo combattenti, erano pronti a costruire una società ideale fondata sull’uguaglianza, sulla libertà e sulla fraternità.

Essere Garibaldini, oggi, significa traghettare da una sponda del passato al presente, l’etica, la passione, il coraggio e la giustizia; valori, per i quali uomini e donne dell’ottocento sacrificarono molto, fino al dono estremo della vita.

Da qualche anno la Regione Lazio, per un effetto di tagli lineari della spesa pubblica effettuati dal Governo Nazionale, ha penalizzato il settore sanitario, in particolare della riabilitazione, decrementando i fondi stanziati per i centri convenzionati del 16% (circa 20 milioni di euro). L’intervento, iniziato dalla giunta Marrazzo e completato dall’ attuale Giunta Polverini, ha destrutturato l’intero settore costringendo i piccoli e medi centri di riabilitazione (ex art. 26) ad operare licenziamenti di personale altamente specializzato e trasformare, sostanzialmente, la riabilitazione in “mantenimento”; parole che da sole esprimono la tendenza a considerare i disabili più un peso da sopportare, che una opportunità per la salvaguardia della dignità e del progresso umano.

E’ utile ricordare quanta attenzione fosse riservata da Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi alle persone deboli e indifese,  agli ultimi , e quanto questo tema costituisse, per loro, il fondamento imprescindibile di ogni società civile.

Ci uniamo dunque ai componenti del Forum ex art.26 che con questa “Lettera ai Romani” hanno voluto informare la cittadinanza, e invitiamo tutti a partecipare all’incontro che si svolgerà a Roma il prossimo 18 Giugno (vedi locandina sotto)

 

Lettera ai romani
 

vi rivolgiamo un appello: molti dei nostri concittadini rischiano di perdere l’assistenza e la riabilitazione riconosciuta fin dagli anni ’70 come un loro diritto inalienabile. 
Parliamo delle persone definite “disabili.”
Come è noto, il commissariamento della regione Lazio prevede ingenti tagli al denaro stanziato dal governo per la riabilitazione e la lungo degenza e, nello specifico, prevede una forte riduzione delle rette assegnate ai centri ex art. 26 che gestiscono la riabilitazione territoriale.
Questo comporta il  peggioramento della qualità di vita e la cancellazione dei diritti fondamentali delle persone più deboli: disabili intellettivi, motori, psichiatrici, anziani, malati cronici….
Se verrà a mancare il sostegno economico ai centri di riabilitazione ci sarà una drastica riduzione dei posti letto, delle terapie, degli ausili, dell’assistenza medico-sanitaria e, di conseguenza la diminuzione dei posti di lavoro, dei progetti di reintegrazione sociale e la dequalificazione degli interventi riabilitativi e assistenziali.
Le famiglie saranno costrette a farsi carico delle spese e degli oneri che il servizio pubblico non intende più sostenere.
La politica dei tagli colpisce tutti coloro che versano in situazioni sociali, psicologiche e economiche già compromesse  negando loro il diritto di cittadinanza.
Questi, in sintesi, sono gli aspetti concreti legati alla crisi economica in cui versa il paese, ma dipendenti soprattutto, da scelte politiche inadeguate. La questione porta necessariamente con sé una riflessione di ordine etico e morale:
una società, che non si occupa di tutelare i diritti e la dignità di ogni persona, non può ritenersi civile, e una politica, che non metta al primo posto scelte che migliorino la qualità di vita di ogni individuo, e che non punti ad abbattere le disuguaglianze sociali, non assolve il suo compito primario. Ecco perché deve essere  coinvolta nel problema tutta la società civile.

 

 

Molti reduci garibaldini, tornati nelle terre d’origine dopo le estenuanti ed eroiche campagne condotte a fianco di Giuseppe Garibaldi, condussero il resto della loro vita con dignità e coerenza a quegli ideali repubblicani e democratici che li avevano animati fin dal primo fermento  risorgimentale.  Spesso poveri, non si integrarono facilmente con il regime monarchico unitario, restando fedeli fino in fondo al pensiero di Mazzini e all’azione liberatrice di Garibaldi.

Nelle pagine seguenti entriamo nella vita di uno di questi “dimenticati” patrioti italiani, Enrico Mattia Zuzzi (1838-1921), con un documento inedito: le memorie di un volontario della Grande Guerra, che lo conobbe da bambino, quando il Zuzzi era ormai vecchio. E’ un dialogo semplice ma intenso tra due generazioni; due generazioni che hanno portato, in nuce, il seme della libertà.

http://www.albodoroitalia.it/reg/fvg/udine/com/codroipo/page4.html

 

Il garibaldino Enrico Mattia Zuzzi

Dalle memorie di Umberto Macoratti  (1898-1966)

A Codroipo viveva il dott. Enrico Mattia Zuzzi, il medico dei poveri, che prestava a tutti, gratuito, il suo ministero sanitario; a lui si rivolgevano coloro che non potevano pagare le visite e i medicinali, compresa mia madre. I poveri dicevano un gran bene di lui, però…

“Peccato che non vada mai in chiesa…”

“Perchè, mamma?”

“E’ un garibaldino dei Mille”

Era un solitario: lo vedevo tutti i giorni dirigersi verso la campagna col suo cane. Desideravo tanto parlargli. Un pomeriggio finalmente lo fermai:

“Signor dottore, le dispiace se l’accompagno nella sua passeggiata?”

“Chi sei?”

“Sono un figlio di Colomba”

Divenimmo amici, ma da quel giorno smisi di fare il chierichetto. Modestissimo, non parlava mai di sé, né si vantava di quanto faceva, ripugnandogli di mettersi in evidenza. Sebbene povero, non chiese né ebbe mai nulla da nessuno. Dopo lunga meditazione, io gli rivolgevo le domande a bruciapelo, come fanno i bambini curiosi, e la mia curiosità, a volte, lo metteva di buon umore. Così seppi che aveva combattuto a Calatafimi, a Palermo, a Milazzo. Ricordava che i mercenari Bavaresi fatti prigionieri furono tutti scaraventati giù dal ponte di Maddaloni. Nei Mille faceva parte della VII compagnia comandata da Benedetto Cairoli. A Quarto, la sera del 5 Maggio prima di imbarcarsi, l’eroica madre friulana Fanny Luzzatto gli aveva affidato il figlio diciassettenne Riccardo, dopo aver impartito ad entrambi la materna benedizione. Era stato anche presente all’incontro, fra Teano e Sessa, di Garibaldi e di Vittorio, e ricordava l’incidente tra un maggiore garibaldino romagnolo, mutilato di una gamba e a cavallo, e un ufficiale del seguito reale. Egli narrava tutti questi avvenimenti con estrema semplicità e assoluta modestia. Però non era come Pre’ Antoni (ndr: Padre Antonio Snaidero, Parroco di Gradiscutta di Varmo) che si scagliava contro i ricchi a favore dei poveri; anzi, biasimava uomini di fama gloriosa come Turati ed altri socialisti, ritenendoli degli antinazionali. Era un mazziniano, un patriota ardente e temerario. […..] . Mi sembrava persino impossibile che quell’uomo così modesto avesse avuto tanto coraggio. Quando, nel 1864, sfidando il capestro, ritornò segretamente nella sua terra per organizzare insieme a Titta Cella un’insurrezione armata in Friuli, Mazzini gli scrisse una lunga lettera di incoraggiamento, e Garibaldi gli inviò istruzioni per la costituzione di una Legione Friulana, che doveva proteggere uno sbarco di Garibaldi a Marano Lagunare. Ora quel vecchietto, che aveva combattuto le battaglie a fianco dell’Eroe dei due mondi, da Marsala a Teano, dal Trentino a Mentana, camminava silenzioso per i sentieri solitari della campagna, in compagnia di un cane da caccia e di un monello qualunque. Per non annoiarlo giocavo con il suo cane prediletto, aspettando che si presentasse l’opportunità di rivolgergli una domanda che mi stava tanto a cuore

“Dottore, perché lei non va mai in chiesa?”

 Mi parve contrariato, per dover dare spiegazioni a un ragazzo scalzo e straccione; ma alla fine sorrise:

“Non c’è bisogno. Io prego nella mia camera; prego ogni momento…prego anche adesso che parlo con te. Il tempio di Dio è l’universo. Dio è nella coscienza degli uomini”.

“Ma allora non ci sarebbe bisogno delle chiese?”

“Certo, non ce n’è bisogno…”

“E la religione chi la insegnerebbe?”

“La religione che insegnano i preti non è quella di Cristo; essa serve per mantenere la moltitudine nell’ignoranza e nella superstizione…”

Ebbi paura.

“ Ma Pre’ Antoni non predica questo !”

“ Si può fare del bene anche senza essere preti. Però vale più Pre’ Antoni che mille preti messi insieme.” [….]

Dottor Mattia Enrico Zuzzi: poeta, medico e “Garibaldino”.

Visto attraverso gli occhi del trisnipote Capitano Mattia Zuzzi.

Il giorno 16 marzo si è svolta, presso la biblioteca del Comune di Codroipo (UD), una conferenza sui garibaldini friulani, tenuta dal prof. Folisi ed alla quale è intervenuto, con una relazione specifica, il dottor Filippo Maria Zuzzi, fratello del Capitano Mattia Zuzzi e assieme a lui tris-nipote diretto del dottor Mattia Enrico Zuzzi, eroe dei Mille di Garibaldi. L’iniziativa è avvenuta nel contesto dei festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia ed ha visto presenti autorità politiche e militari della zona del Medio Friuli.

Il dottor Mattia Enrico Zuzzi nacque a Codroipo (Udine) nel 1838, primo di quattro fratelli che parteciparono alle Guerre di Indipendenza a vario titolo. Mattia era figlio di Enrico Domenico, notaio della cittadina del Medio Friuli e membro attivo della Carboneria, poi divenuto Deputato della IX e X legislatura.. Dopo gli studi classici a Udine, Mattia si spostò a Pavia per studiare medicina nella locale università. Qui si unì da subito ai gruppi di patrioti intellettuali, al tempo stesso conservando il piacere di tradurre in versi, anche in latino, le numerose ispirazioni che la Musa gli offriva. A Pavia Mattia Zuzzi rafforzò gli ideali di una Patria Italiana unita ed indipendente, seguendo il pensiero mazziniano repubblicano. Nelle guerre di Indipendenza fece parte di numerosissime compagini che presero parte alle ostilità: fu in Trentino nel 1866 ed a Mentana nel 1867. Garibaldi e Mazzini gli offrirono anche il Comando e la pianificazione di assalti che avrebbero dovuto avere come obiettivo fortezze austriache nel Friuli costiero e orientale, incoraggiandolo in prima persona durante incontri privati, dato il momento politico favorevole. Ma il momento più alto del suo impegno di Combattente, pur senza aver mai portato una uniforme istituzionale, è la partecipazione all’impresa del Mille. Partito da Quarto, partecipò a tutta l’operazione, fu ferito a Milazzo e successivamente riprese i combattimenti sul Volturno. Scrisse in versi l’epopea “La leggenda dei Mille. Da Quarto a Calatafimi”. Fu inoltre presente allo storico incontro tra Garibaldi ed il Re Vittorio Emanuele II in Teano (CE). Dopo la spedizione esercitò la professione di medico nel Bergamasco e, una volta liberata la sua terra natale dalla dominazione Asburgica, in Friuli. Era infatti stato dichiarato ricercato all’interno dell’Impero Austro-Ungarico. 50 anni dopo l’epopea dei Mille, ripercorse con gli altri garibaldini rimasti in vita la navigazione ed il movimento svolto tra il 1859 ed il 1860. Allo scoppio della I Guerra Mondiale, benché ottuagenario, chiese di essere arruolato volontariamente come Ufficiale medico, ricevendo un rifiuto. Ciononostante, dopo la disfatta di Caporetto ed a seguito della Battaglia del Piave, prestò volontariamente soccorso ai soldati italiani feriti, ed a quelli austriaci più gravi. Colpito da broncopolmonite nel 1918, a causa delle sue frequenti visite ai soldati feriti nel clima freddo della pianura friulana, non si riprese più, nonostante la fortissima fibra. Morì nel 1921, dopo una vita di sacrifici a servizio della Patria. Fu un uomo talmente virtuoso ed umile, da rifiutare sempre la pubblica arena ed i relativi onori della ribalta.

Lo storico del Risorgimento Germano Bevilacqua, citando espressamente i quattro fratelli Zuzzi, Mattia, Costanzo, Leonardo e Giacomo, scrisse in uno dei suoi libri: “nessun monumento né ringraziamento saranno mai abbastanza grandi e sentiti per onorare quanto la famiglia Zuzzi ha fatto per l’Indipendenza e l’Unità d’Italia”.

Capitano Mattia Zuzzi

 

Invitiamo i lettori di questo spazio web a collaborare con noi, ed inviarci altre testimonianze inedite che saremo lieti di pubblicare su questo sito.

Arch. Paolo Macoratti

Presidente Associazione Garibaldini per l’Italia

18 aprile 2011
13:00

E’ difficile, oggi, riconoscersi in una democrazia reale; nella società italiana di questo inizio di secolo prevalgono, infatti, la sete di potere e di denaro unite ad una irrefrenabile ascesa delle più oscure forme di egoismo. Le cause di tale crescita esponenziale vanno ricercate, come diciamo già da tempo, nelle radici culturali del popolo italiano che non ha mai cercato di scendere con determinazione  negli abissi dei propri mali per liberarsi dalle catene di secoli di servilismo.

Questa incapacità d’introspezione, singola e collettiva, ha prodotto e produce “mostri” e non avrà fine, se continueremo ad essere spettatori del degrado e non parte attiva di un improcrastinabile nuovo Risorgimento. Le strade da seguire sono già state tracciate da Grandi Italiani, il cui pensiero è stato deliberatamente accantonato; Grandi Italiani che hanno dato tutto per noi e per le generazioni future.

LeggiamoLi, studiamoLi, questi Grandi Italiani!

 

Le Associazioni, F.I.A.P. - Federazione Italiana Associazioni Partigiane- e A.M.I. – Associazione Mazzianiana Italiana, Sez di Roma, hanno organizzato un incontro dal titolo:

Per un’Italia Repubblicana, libera e unita nel segno della democrazia

Il progetto politico di Giuseppe Mazzini

 

 

 

Casa della Memoria e della Storia – Via San Francesco di Sales, 5 Roma -

Lunedì 18 Aprile 2011, ore 17

 

 

 

 



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Domenica 3 Aprile alle ore 17,00 presso il centro socioculturale di via Caffaro n° 10 a Roma, continuano gli approfondimenti del Gruppo Laico di Ricerca sulla Repubblica Romana del 1849.

Tra le realtà culturali romane quella dell’Associazione “Gruppo Laico di Ricerca” è senz’altro tra le più attive nel proporre conferenze sul Risorgimento italiano e sulla Repubblica Romana del 1849.

Il tema dell’incontro é:  Come nasce una Repubblica

http://www.gruppolaico.it/category/appuntamenti/

 


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13 marzo 2011
17:00a20:30

Domenica 13 Marzo alle ore 17,00, a Roma,  presso il Centro Socioculturale Garbatella di Via Caffaro,10, l’associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca” ha organizzato un incontro di approfondimento sulle conseguenze politiche e storiche scaturite dall’ unificazione nazionale monarchica e dalla rivoluzione incompiuta delle forze repubblicane e progressiste.

Per l’importanza e l’attualità del tema s’invitano soci e simpatizzanti a non mancare l’appuntamento

per i dettagli : http://www.gruppolaico.it/category/appuntamenti/


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17 marzo 2011
10:00a13:00

I membri dell’associazione Garibaldini per l’Italia, consapevoli del contributo fondamentale dato dai volontari italiani all’unificazione della Patria, propongono di partecipare a quelle celebrazioni unitarie in cui sia possibile individuare nei contenuti e nelle rappresentazioni, elementi strettamente legati all’epopea garibaldina, alla Repubblica Romana e alla spedizione dei Mille.

Si ritengono infatti “degni” di essere celebrati e ricordati da tutti gli Italiani coloro che sognarono una Repubblica fondata sulla libertà, sulla giustizia, sul progresso, sulla solidarietà; coloro che offrirono la vita per l’Italia unita e per noi, che oggi godiamo il frutto del loro sacrificio.

Saremo presenti il 17 Marzo 2011 a Roma:

Ore 9,45 al Gianicolo – Piazzale  Garibaldi – Spostamento alle 10,00 al muro del belvedere di Villa Lante (di fronte monumento ad Anita Garibaldi), per lo scoprimento del nuovo monumento con il testo della Repubblica Romana del 1849


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Ore 17,00 a Piazza Rosolino Pilo per partecipare, con un breve intervento della nostra associazione, alla manifestazione organizzata da Comitato di Quartiere Monteverde-Quattro Venti


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In entrambi i casi distribuiremo un volantino, di cui riportiamo il testo

 

VIVA L’ITALIA

di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi

NOI,

RAGAZZI VOLONTARI DEL RISORGIMENTO,

CHE ABBIAMO SOGNATO UNA REPUBBLICA FONDATA SULLA LIBERTA’, SULLA GIUSTIZIA, SUL PROGRESSO, SULLA SOLIDARIETA’;

NOI,

CHE ABBIAMO OFFERTO LE NOSTRE GIOVANI VITE PER L’ITALIA UNITA, E PER VOI, CHE OGGI GODETE IL FRUTTO DEL NOSTRO SACRIFICIO

OGGI, 17 MARZO 2011

________________________________________________________________________________________________________________________

MANIFESTIAMO UN SENTIMENTO DI INTENSO DOLORE…

________________________________________________________________________________________________________________________

PER UNA PATRIA E UNA DEMOCRAZIA INCOMPIUTE
PER UNA SOCIETA’ CHE TRASCURA IL BENE COMUNE PER SETE DI POTERE E DI DENARO
PER UN POPOLO DISEDUCATO ALLA RESPONSABILITA’, CHE IGNORA  L’OSSERVANZA DEI DOVERI E LA DIFESA DEI DIRITTI
PER L’AGONIA DELLA SCUOLA PUBBLICA -  UNICA SPERANZA PER LE FUTURE GENERAZIONI


23 marzo 2011
17:00a20:30

Domenica 23 Marzo alle ore 17,00, a Roma,  presso il Centro Socioculturale Garbatella di Via Caffaro,10, l’associazione culturale “Gruppo Laico di Ricerca” ha organizzato il secondo  incontro di approfondimento sulle conseguenze politiche e storiche scaturite dall’ unificazione nazionale monarchica e dalla rivoluzione incompiuta delle forze repubblicane e progressiste.

Per l’importanza e l’attualità del tema s’invitano soci e simpatizzanti a non mancare l’appuntamento

 

 

 

per i dettagli : http://www.gruppolaico.it/category/appuntamenti/


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Costituente Romana 1948

Costituente Romana 1948"

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849

PRINCIPII FONDAMENTALI

I.
La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

II.
Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III.
La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV.
La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

V.
I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI.
La piú equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello Stato è la norma del riparto territoriale della Repubblica.

VII.
Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

VIII.
Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.

Titolo I

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

Art. 1. – Sono cittadini della Repubblica:

Gli originarii della Repubblica;

Coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;

Gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;

Gli stranieri col domicilio di dieci anni;

I naturalizzati con decreto del potere legislativo.

Art. 2. – Si perde la cittadinanza:

Per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non piú tornare;

Per l’abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;

Per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;

Per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l’autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d’un popolo;

Per condanna giudiziale.

Art. 3. – Le persone e le proprietà sono inviolabili.

Art. 4. – Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome. Nessuno può essere carcerato per debiti.

Art. 5. – Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

Art. 6. -Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

Art. 7.- La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.

Art. 8. – L’insegnamento è libero. Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

Art. 9. – Il segreto delle lettere è inviolabile.

Art. 10. -Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

Art. 11. – L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto, è libera.

Art. 12. -Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge.

Art. 13. – Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

Art. 14.La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi.

Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, nè percetta per tempo maggiore di quello dalla legge determinato.

Titolo II

DELL’ORDINAMENTO POLITICO


Art. 15.- Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall’Assemblea, dal Consolato, dall’Ordine giudiziario.

Titolo III

DELL’ASSEMBLEA

Art. 16. – L’Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

Art. 17. – Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

Art. 18. – Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

Art. 19. – Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

Art. 20. – I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile.

Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

Art. 21. – L’Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all’elezione.

Si rinnova ogni tre anni.

Art. 22. -L’Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza armata di cui crederà aver bisogno.

Art. 23. – L’Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà. Nell’intervallo può essere convocata ad urgenza sull’invito del presidente co’ segretari, di trenta membri, o del Consolato.

Art. 24. – Non è legale se non riunisce la metà, piú uno dei suoi rappresentanti.

Il numero qualunque de’ presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

Art. 25. – Le sedute dell’Assemblea sono pubbliche. Può costituirsi in comitato segreto.

Art. 26.- I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell’Assemblea, restando interdetta qualunque inquisizione.

Art. 27.-Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso dell’Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante. Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l’Assemblea che ne sarà immediatamente informata, determina la continuazione o cessazione del processo. Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

Art. 28. – Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

Art. 29. – L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

Art. 30. – La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

Art. 31. – Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese all’intervallo non minore di otto giorni, salvo all’Assemblea di abbreviarlo in caso d’urgenza.

Art. 32. – Le leggi adottate dall’Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell’Assemblea fa la promulgazione.

Titolo IV

DEL CONSOLATO E DEL MINISTERO


Art. 33. – Tre sono i consoli. Vengono nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi. Debbono essere cittadini della repubblica, e dell’età di 30 anni compiti.

Art. 34. – L’ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d’ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti. Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscí di carica.

Art. 35. – Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:

1. Degli affari interni;

2. Degli affari esteri;

3. Di guerra e marina;

4. Di finanze;

5. Di grazia e giustizia;

6. Di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;

7. Del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

Art. 36. – Ai consoli sono commesse l’esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

Art. 37. – Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de’ ministri.

Art. 38.-Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato dell’esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione dei ministri.

Art. 39. – Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell’Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

Art. 40. – I ministri hanno il diritto di parlare all’Assemblea sugli affari che li risguardano.

Art. 41.I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l’Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell’Assemblea sotto pena di decadenza.

Art. 42. – Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi tremila e seicento.

Art. 43. – I consoli e i ministri sono responsabili.

Art. 44. – I consoli e i ministri possono essere posti in stato d’accusa dall’Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

Art. 45.- Ammessa l’accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna all’esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

Titolo V

DEL CONSIGLIO DI STATO


Art. 46. – Vi è un consiglio di stato, composto da quindici consiglieri nominati dall’Assemblea.

Art. 47. – Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle realzioni politiche.

Art. 48. – Esso emana que’ regolamenti pei quali l’Assemblea gli ha dato una speciale delegazione. Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

Titolo VI

DEL POTERE GIUDIZIARIO

Art. 49. – I giudici nell’esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

Art. 50. – Nominati dai consoli ed in consiglio de’ ministri sono inamovibili, non possono essere promossi, né trasclocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.

Art. 51. – Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

Art. 52. – La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

Art. 53. – Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l’applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

Art. 54. – Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

Art. 55. – Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici piú anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia. L’Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo. È d’uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

Titolo VII

DELLA FORZA PUBBLICA

Art. 56. – L’ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

Art. 57. – L’esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

Art.58.- Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della Repubblica, senza decreto dell’Assemblea.

Art. 59. – I generali sono nominati dall’Assemblea sopra proposta del Consolato.

Art. 60. – La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate dall’Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei consenso.

Art. 61. – Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

Art. 62. – Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell’ordine interno e della costituzione.

Titolo VIII

DELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

Art. 63. – Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell’ultimo anno della legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

Art. 64. – L’Assemblea delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

Art. 65. – L’Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 66. – Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all’attuazione della costituzione.

Art. 67. – Coll’apertura dell’Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

Art. 68. – Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla costituzione, e finché non sieno abrogati.

Art. 69. – Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

Il Presidente I Vice-Presidenti I Segretari

G. Galletti A. Saliceti – E. Alloccatelli G. Pennacchi – G. Cocchi
A. Fabretti – A. Zambianchi

PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA
Decreto istitutivo:
art.1 – Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.
art.2 – Il Pontefice romano avrà tutte le guarantigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale.
art.3 – La forma del Governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.
Art.4 – La Repubblica Romana avrà con il resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune.

Roma lì 9 febbraio 1849 ore 1 antimeridiane Voti: 120 favorevoli – 12 astenuti – 10 contrari

Il Presidente I Vice-Presidenti I Segretari

G. Galletti A. Saliceti – E. Alloccatelli G. Pennacchi – G. Cocchi
A. Fabretti – A. Zambianchi

triuvmirato

triuvmirato

Bandiera di guerra repubblica Romana

Bandiera di guerra repubblica Romana

i triumviri

i triumviri

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Costituente Romana 1948

Costituente Romana 1948"

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA, 1849

PRINCIPII FONDAMENTALI

I.
La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica.

II.
Il regime democratico ha per regola l’eguaglianza, la libertà, la fraternità. Non riconosce titoli di nobiltà, né privilegi di nascita o casta.

III.
La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini.

IV.
La Repubblica riguarda tutti i popoli come fratelli: rispetta ogni nazionalità: propugna l’italiana.

V.
I Municipii hanno tutti eguali diritti: la loro indipendenza non è limitata che dalle leggi di utilità generale dello Stato.

VI.
La piú equa distribuzione possibile degli interessi locali, in armonia coll’interesse politico dello Stato è la norma del riparto territoriale della Repubblica.

VII.
Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici.

VIII.
Il Capo della Chiesa Cattolica avrà dalla Repubblica tutte le guarentigie necessarie per l’esercizio indipendente del potere spirituale.

Titolo I

DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI

Art. 1. – Sono cittadini della Repubblica:

Gli originarii della Repubblica;

Coloro che hanno acquistata la cittadinanza per effetto delle leggi precedenti;

Gli altri Italiani col domicilio di sei mesi;

Gli stranieri col domicilio di dieci anni;

I naturalizzati con decreto del potere legislativo.

Art. 2. – Si perde la cittadinanza:

Per naturalizzazione, o per dimora in paese straniero con animo di non piú tornare;

Per l’abbandono della patria in caso di guerra, o quando è dichiarata in pericolo;

Per accettazione di titoli conferiti dallo straniero;

Per accettazione di gradi e cariche, e per servizio militare presso lo straniero, senza autorizzazione del governo della Repubblica; l’autorizzazione è sempre presunta quando si combatte per la libertà d’un popolo;

Per condanna giudiziale.

Art. 3. – Le persone e le proprietà sono inviolabili.

Art. 4. – Nessuno può essere arrestato che in flagrante delitto, o per mandato di giudice, né essere distolto dai suoi giudici naturali. Nessuna Corte o Commissione eccezionale può istituirsi sotto qualsiasi titolo o nome. Nessuno può essere carcerato per debiti.

Art. 5. – Le pene di morte e di confisca sono proscritte.

Art. 6. -Il domicilio è sacro: non è permesso penetrarvi che nei casi e modi determinati dalla legge.

Art. 7.- La manifestazione del pensiero è libera; la legge ne punisce l’abuso senza alcuna censura preventiva.

Art. 8. – L’insegnamento è libero. Le condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono determinate dalla legge.

Art. 9. – Il segreto delle lettere è inviolabile.

Art. 10. -Il diritto di petizione può esercitarsi individualmente e collettivamente.

Art. 11. – L’associazione senz’armi e senza scopo di delitto, è libera.

Art. 12. -Tutti i cittadini appartengono alla guardia nazionale nei modi e colle eccezioni fissate dalla legge.

Art. 13. – Nessuno può essere astretto a perdere la proprietà delle cose, se non in causa pubblica, e previa giusta indennità.

Art. 14.La legge determina le spese della Repubblica, e il modo di contribuirvi.

Nessuna tassa può essere imposta se non per legge, nè percetta per tempo maggiore di quello dalla legge determinato.

Titolo II

DELL’ORDINAMENTO POLITICO


Art. 15.- Ogni potere viene dal popolo. Si esercita dall’Assemblea, dal Consolato, dall’Ordine giudiziario.

Titolo III

DELL’ASSEMBLEA

Art. 16. – L’Assemblea è costituita da Rappresentanti del popolo.

Art. 17. – Ogni cittadino che gode i diritti civili e politici a 21 anno è elettore, a 25 è eleggibile.

Art. 18. – Non può essere rappresentante del popolo un pubblico funzionario nominato dai consoli o dai ministri.

Art. 19. -  Il numero dei rappresentanti è determinato in proporzione di uno ogni ventimila abitanti.

Art. 20. – I Comizi generali si radunano ogni tre anni nel 21 aprile.

Il popolo vi elegge i suoi rappresentanti con voto universale, diretto e pubblico.

Art. 21. – L’Assemblea si riunisce il 15 maggio successivamente all’elezione.

Si rinnova ogni tre anni.

Art. 22. -L’Assemblea si riunisce in Roma, ove non determini altrimenti, e dispone della forza armata di cui crederà aver bisogno.

Art. 23. – L’Assemblea è indissolubile e permanente, salvo il diritto di aggiornarsi per quel tempo che crederà. Nell’intervallo può essere convocata ad urgenza sull’invito del presidente co’ segretari, di trenta membri, o del Consolato.

Art. 24. – Non è legale se non riunisce la metà, piú uno dei suoi rappresentanti.

Il numero qualunque de’ presenti decreta i provvedimenti per richiamare gli assenti.

Art. 25. – Le sedute dell’Assemblea sono pubbliche. Può costituirsi in comitato segreto.

Art. 26.- I rappresentanti del popolo sono inviolabili per le opinioni emesse nell’Assemblea, restando interdetta qualunque inquisizione.

Art. 27.-Ogni arresto o inquisizione contro un rappresentante è vietato senza permesso dell’Assemblea, salvo il caso di delitto flagrante. Nel caso di arresto in flagranza di delitto, l’Assemblea che ne sarà immediatamente informata, determina la continuazione o cessazione del processo. Questa disposizione si applica al caso in cui un cittadino carcerato fosse eletto rappresentante.

Art. 28. – Ciascun rappresentante del popolo riceve un indennizzo cui non può rinunziare.

Art. 29. – L’Assemblea ha il potere legislativo: decide della pace, della guerra, e dei trattati.

Art. 30. – La proposta delle leggi appartiene ai rappresentanti e al Consolato.

Art. 31. – Nessuna proposta ha forza di legge, se non dopo adottata con due deliberazioni prese all’intervallo non minore di otto giorni, salvo all’Assemblea di abbreviarlo in caso d’urgenza.

Art. 32. – Le leggi adottate dall’Assemblea vengono senza ritardo promulgate dal Consolato in nome di Dio e del popolo. Se il Consolato indugia, il presidente dell’Assemblea fa la promulgazione.

Titolo IV

DEL CONSOLATO E DEL MINISTERO


Art. 33. – Tre sono i consoli. Vengono nominati dall’Assemblea a maggioranza di due terzi di suffragi. Debbono essere cittadini della repubblica, e dell’età di 30 anni compiti.

Art. 34. – L’ufficio dei consoli dura tre anni. Ogni anno uno dei consoli esce d’ufficio. Le due prime volte decide la sorte fra i tre primi eletti. Niun console può essere rieletto se non dopo trascorsi tre anni dacché uscí di carica.

Art. 35. – Vi sono sette ministri di nomina del Consolato:

1. Degli affari interni;

2. Degli affari esteri;

3. Di guerra e marina;

4. Di finanze;

5. Di grazia e giustizia;

6. Di agricoltura, commercio, industria e lavori pubblici;

7. Del culto, istruzione pubblica, belle arti e beneficenza.

Art. 36. – Ai consoli sono commesse l’esecuzione delle leggi, e le relazioni internazionali.

Art. 37. – Ai consoli spetta la nomina e revocazione di quegli impieghi che la legge non riserva ad altra autorità; ma ogni nomina e revocazione deve esser fatta in consiglio de’ ministri.

Art. 38.-Gli atti dei consoli, finché non sieno contrassegnati dal ministro incaricato dell’esecuzione, restano senza effetto. Basta la sola firma dei consoli per la nomina e revocazione dei ministri.

Art. 39. – Ogni anno, ed a qualunque richiesta dell’Assemblea, i consoli espongono lo stato degli affari della Repubblica.

Art. 40. – I ministri hanno il diritto di parlare all’Assemblea sugli affari che li risguardano.

Art. 41.I consoli risiedono nel luogo ove si convoca l’Assemblea, né possono escire dal territorio della Repubblica senza una risoluzione dell’Assemblea sotto pena di decadenza.

Art. 42. – Sono alloggiati a spese della Repubblica, e ciascuno riceve un appuntamento di scudi tremila e seicento.

Art. 43. -  I consoli e i ministri sono responsabili.

Art. 44. – I consoli e i ministri possono essere posti in stato d’accusa dall’Assemblea sulla proposta di dieci rappresentanti. La dimanda deve essere discussa come una legge.

Art. 45.- Ammessa l’accusa, il console è sospeso dalle sue funzioni. Se assoluto, ritorna all’esercizio della sua carica, se condannato, passa a nuova elezione.

Titolo V

DEL CONSIGLIO DI STATO


Art. 46. – Vi è un consiglio di stato, composto da quindici consiglieri nominati dall’Assemblea.

Art. 47. – Esso deve essere consultato dai Consoli, e dai ministri sulle leggi da proporsi, sui regolamenti e sulle ordinanze esecutive; può esserlo sulle realzioni politiche.

Art. 48. – Esso emana que’ regolamenti pei quali l’Assemblea gli ha dato una speciale delegazione. Le altre funzioni sono determinate da una legge particolare.

Titolo VI

DEL POTERE GIUDIZIARIO

Art. 49. – I giudici nell’esercizio delle loro funzioni non dipendono da altro potere dello Stato.

Art. 50. – Nominati dai consoli ed in consiglio de’ ministri sono inamovibili, non possono essere promossi, né trasclocati che con proprio consenso, né sospesi, degradati, o destituiti se non dopo regolare procedura e sentenza.

Art. 51. – Per le contese civili vi è una magistratura di pace.

Art. 52. – La giustizia è amministrata in nome del popolo pubblicamente; ma il tribunale, a causa di moralità, può ordinare che la discussione sia fatta a porte chiuse.

Art. 53. – Nelle cause criminali al popolo appartiene il giudizio del fatto, ai tribunali l’applicazione della legge. La istituzione dei giudici del fatto è determinata da legge relativa.

Art. 54. – Vi è un pubblico ministero presso i tribunali della Repubblica.

Art. 55. – Un tribunale supremo di giustizia giudica, senza che siavi luogo a gravame, i consoli ed i ministri messi in istato di accusa. Il tribunale supremo si compone del presidente, di quattro giudici piú anziani della cassazione, e di giudici del fatto, tratti a sorte dalle liste annuali, tre per ciascuna provincia. L’Assemblea designa il magistrato che deve esercitare le funzioni di pubblico ministero presso il tribunale supremo. È d’uopo della maggioranza di due terzi di suffragi per la condanna.

Titolo VII

DELLA FORZA PUBBLICA

Art. 56. – L’ammontare della forza stipendiata di terra e di mare è determinato da una legge, e solo per una legge può essere aumentato o diminuito.

Art. 57. – L’esercito si forma per arruolamento volontario, o nel modo che la legge determina.

Art.58.- Nessuna truppa straniera può essere assoldata, né introdotta nel territorio della Repubblica, senza decreto dell’Assemblea.

Art. 59. – I generali sono nominati dall’Assemblea sopra proposta del Consolato.

Art. 60. – La distribuzione dei corpi di linea e la forza delle interne guarnigioni sono determinate dall’Assemblea, né possono subire variazioni, o traslocamento anche momentaneo, senza di lei consenso.

Art. 61. – Nella guardia nazionale ogni grado è conferito per elezione.

Art. 62. – Alla guardia nazionale è affidato principalmente il mantenimento dell’ordine interno e della costituzione.

Titolo VIII

DELLA REVISIONE DELLA COSTITUZIONE

Art. 63. – Qualunque riforma di costituzione può essere solo domandata nell’ultimo anno della legislatura da un terzo almeno dei rappresentanti.

Art. 64. – L’Assemblea delibera per due volte sulla domanda all’intervallo di due mesi. Opinando l’Assemblea per la riforma alla maggioranza di due terzi, vengono convocati i comizii generali, onde eleggere i rappresentanti per la costituente, in ragione di uno ogni 15 mila abitanti.

Art. 65. – L’Assemblea di revisione è ancora assemblea legislativa per tutto il tempo in cui siede, da non eccedere tre mesi.

DISPOSIZIONI TRANSITORIE

Art. 66. – Le operazioni della costituente attuale saranno specialmente dirette alla formazione della legge elettorale, e delle altre leggi organiche necessarie all’attuazione della costituzione.

Art. 67. – Coll’apertura dell’Assemblea legislativa cessa il mandato della costituente.

Art. 68. – Le leggi e i regolamenti esistenti restano in vigore in quanto non si oppongono alla costituzione, e finché non sieno abrogati.

Art. 69. – Tutti gli attuali impiegati hanno bisogno di conferma.

Il Presidente                                       I Vice-Presidenti                                                               I Segretari

G. Galletti                                                A. Saliceti – E. Alloccatelli                                   G. Pennacchi – G. Cocchi
A. Fabretti – A. Zambianchi

PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA ROMANA
Decreto istitutivo:
art.1 – Il papato è decaduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato Romano.
art.2 – Il Pontefice romano avrà tutte le guarantigie necessarie per la indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale.
art.3 – La forma del Governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica Romana.
Art.4 – La Repubblica Romana avrà con il resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune.

Roma lì 9 febbraio 1849 ore 1 antimeridiane Voti: 120 favorevoli – 12 astenuti – 10 contrari

 

Il Presidente                                               I Vice-Presidenti                                                       I Segretari

G. Galletti                                                        A. Saliceti – E. Alloccatelli                                         G. Pennacchi – G. Cocchi
A. Fabretti – A. Zambianchi

triuvmirato

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Bandiera di guerra repubblica Romana

Bandiera di guerra repubblica Romana

i triumviri

i triumviri

Con questo libro intendiamo rendere omaggio a quei volontari Garibaldini friulani, sconosciuti ai più, che combatterono a fianco di Giuseppe Garibaldi in quasi tutte le battaglie per l’unità d’Italia. Un’occasione unica per ripercorrere pagine importanti della nostra storia risorgimentale, rivissuta attraverso i racconti di protagonisti  coraggiosi, animati da un profondo amore per la Patria ed una indomabile coerenza con i princìpi  più alti del pensiero mazziniano.

Ringraziamo gli autori di questa importante ricerca storica che hanno messo in rete l’intera pubblicazione, ricca anche di immagini preziose. (vedi l’indice nelle pagine finali del documento)

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Paul GinsborSalviamo l’Italia

Il 150° anniversario della nazione non dovrebbe essere solo l’occasione per sventolare bandiere tricolori o indulgere nella retorica: richiede invece un ripensamento profondo sulla storia d’Italia e sul contributo del Paese al futuro del mondo moderno…

Giulio Einaudi Editore


Caffi-Calosso-Chiaromonte-Gobetti-Gramsci-Rosselli-Salvemini-Venturi:

L’unità d’Italia – Pro e contro il Risorgimento

Discutere le origini della nostra nazione è oggi di moda, ma lo si fa in modo strumentale, ipocrita, retorico. Dopo le riflessioni storiche di Gobetti, Gramsci e Salvemini, si aprì nel 1935 su “Giustizia e Libertà”, la rivista parigina degli esuli antifascisti, un dibattito avviato con provocatoria irriverenza da Andrea Caffi, in cui intervennero con altrettanta spregiudicatezza alcune delle menti più lucide e laiche del nostro secolo

Edizioni e/o


Giuseppe Mazzini : Pensieri sulla democrazia in Europa

Dall’Agosto 1846 al giugno 1847 Giuseppe Mazzini, esule a Londra, pubblica sul “People’s Journal” otto articoli sulla democrazia. Con questi interventi, di cui in Italia è nota solo la rielaborazione in italiano del 1852, Mazzini si inserisce a pieno titolo nel dibattito europeo sulla democrazia, iscrivendo di fatto il proprio nome tra i suoi protagonisti più illustri: Torqueville, Blanc, Cabet, Mill……..

Universale economica Feltrinelli


 

Giuseppe Mazzini : Dei doveri dell’uomo – Fede e avvenire

E’ considerata l’opera fondamentale di Giuseppe Mazzini, padre del Risorgimento italiano. Dedicata agli operai italiani, elemento centrale e vitale nella riforma politica ideata da Mazzini, l’opera afferma l’illusorietà delle troppo facili dottrine basate “esclusivamente<2 sui diritti e ribadisce la necessità di indirizzarsi sulla via dei “doveri”, l’unica dalla quale possono scaturire i diritti.

Mursia Editore


Goffredo MameliFratelli d’Italia

La vicenda specifica di Mameli illustra con efficacia la condizione di “esilio in patria” di cui hanno sofferto a lungo i democratici della storia italiana. Infatti essa allude alla difficoltà con cui il termine rrepubblicano” è entrato nella cultura degli Italiani. Una parola”repubblica” e un sentimento che non hanno mai goduto di una cittadinanza particolarmente benevola e che proprio nel 1848 acquistano un connotato preciso. Negli scritti di Mameli c’è tutto il ’48 italiano: l’anelito della patria; la convinzione che la storia si produca solo attraverso un riscatto popolare…

Universale economica feltrinelli


Giuseppe Garibaldi : Memorie

Queste memorie autobiografiche, scritte a più riprese tra il 1849 e gli anni dell’esilio a Caprera, e che narrano la vita e le imprese dagli anni della giovinezza all’intervento in Francia (1871), mostrano un Garibaldi diverso e forse più grande di quello che ci consegna la leggenda. Si scopre che Garibaldi odiava profondamente la guerra e il militarismo: per lui non si trattò mai di combattere per combattere, ma di combattere per cause giuste, e dunque innanzitutto di compiere scelte politiche, che lo videro costantemente dalla parte delle forze concretamente progressiste.

Edizioni Bur


 

Giuseppe Bandi : I Mille

Questo libro è il racconto delle avventure dei mille ragazzi che si imbarcarono a Quarto con Garibaldi e andarono a liberare la Sicilia e l’Italia meridionale. Dimentichiamoci tutto quello che del Risorgimento è scritto sui liri di storia,  e consideriamolo proprio un libro di avventure, le avventure raccontate da chi ebbe la fortuna e il coraggio di viverle davvero, poco più che ragazzo.

Eretica speciale – stampa alternativa


 

Claudio Fracassi : La meravigliosa storia della Repubblica dei briganti

Con uno stile narrativo incalzante, fresco e avvincente, l’Autore squarcia il velo polveroso che troppo spesso ricopre il nostro Risorgimento e riporta in vita i personaggi e le vicende dell Repubblica Romana, “uno dei grandi spettacoli della storia”, destinato a concludersi con la sconfitta,  che sarebbe durata un secolo, dell’ipotesi di un’Italia repubblicana e democratica

Mursia Editore


Claudio Fracassi : La ribelle e il Papa Re

La straordinaria e drammatica avventura personale e politica della ribelle Giuditta Tavani Arcuati, al centro dell’organizzazione clandestina dell’insurrezione, è ricostruita con il ritmo di un romanzo, in base a una rigorosa e originale documentazione archivistica.

Mursia Editore


 

Claudio Fracassi : Il romanzo dei Mille

Con gli occhi stupefatti dei volontari venuti dal nord, e attraverso i loro racconti, il libro ripercorre quelle ore e quei giorni: il finto sequestro delle navi a Genova, la tumultuosa traversata, la fredda accoglienza iniziale e il crescente entusiasmo di una popolazione sconosciuta, la fame e le pene degli accampamenti, le paure e il sangue delle lotte corpo a corpo, le barricate di Palermo. Sullo sfondo gli intrighi della diplomazia , lo sgretolamento del regime dei Borboni, il febbrile interesse dell’opinione pubblica europea. Un’originale ricostruzione dell’impresa che fece l’Italia unita, documentata come un resoconto di viaggio, appassionante e avvincente.

Mursia Editore


Barbara Minniti : Casa Collins

Le memorie di Emma Collins, la “segretaria inglese” di Garibaldi che visse sull’isola della Maddalena, proprio di fronte ai possedimenti dell’eroe. Da suo osservatorio privilegiato Emma racconta, con humor e in uno stile semplice e scorrevole che appassiona, le vicende del Risorgimento tra il 1855 e il 1868, attraverso le storie di una miriade di personaggi che passano da Caprera…

Edizioni polistampa


 

Denis Mack Smith : Garibaldi – Una vita a più immagini

Raccolta di testimonianze e giudizi dei contemporanei di Garibaldi che restituisce più   di qualsiasi analisi lo spirito del tempo e le difficoltà verso l’Unità e l’indipendenza inocntrarono gli uomini che fecero l’Italia. Arricchisce il volume un importante apparato iconografico che copre le varie epoche e i principali eventi della vita di Garibaldi

Passigli Editori

Alfredo Venturi : Sotto la camicia rossa

Un saggio divulgativo che ci racconta Giuseppe Garibaldi com’era prima che una colata di retorica lo trasformasse in una statua di bronzo. E subito una prima grandissima sorpresa: fare scendere l’Eroe dei Due Mondi dal piedistallo non lo diminuisce affatto, esalta invece quell’irresistibile umanità che l’enfasi patriottica si è sempre preoccupata di nascondere e mortificare.

Edizioni. Hobby & Work

Luisa Mattia e Paolo D’AltanI jeans di Garibaldi

un racconto per bambini delle elementari, con diverse illustrazioni, una storiella che si svolge dentro l’impresa dei mille
Editrice Carthusia

 

Patrizia Laurano : Garibaldi fu sfruttato

Giuseppe Garibaldi è l’italiano più conosciuto, è l’eroe per eccellenza. Il poncho, l’amore per Anita, i Mille hanno reso la sua vita una leggenda senza tempo. Una leggenda su cui hanno tentato di mettere la propria bandiera sia le camicie nere del regime fascista, che i fazzoletti rossi della battaglia resistenziale. Il libro ricostruisce la nascita del mito garibaldino, la sua diffusione e la tentata appropriazione da forze politiche avverse, nella speranza di ritrovare, in Garibaldi, la capacità di parlare al popolo e di muovere le masse in occasione delle decisive elezioni del 1948.

Saggi Pop

Daniela Longo e Rachele Lo Piano : Lorenzo e la Costituzione

“Perché non può esserci unità senza una base comune: la nostra Carta Costituzionale. Per questo renderla accessibile fin da piccoli – percrescere come cittadini responsabili e consapevoli dei propri diritti e doveri – è uno dei modi migliori per festeggiare il nostro Paese”. Un libro dai 7 anni in su

Sinnos Editrice

 

Ermanno Rea : La fabbrica dell’obbedienza – Il lato oscuro e complice degli Italiani

Spunti interessanti di ricerca sul male che affligge da secoli gli Italiani, che li rende poco inclini alla responsabilità undividuale e collettiva. Non potrà mai realizzarsi l’unità d’Italia se prima non  analizziamo criticamente le radici della nostra formazione; non potremo mai considerarci destinatari delle idee del Risorgimento se prima non ci liberiamo dei fardelli culturali che ci hanno oppresso e ci opprimono da secoli.

Feltrinelli

 

Gigi Di Fiore : Controstoria dell’unita’ d’Italia

 Una rassegna degli intrighi, degli abusi e degli inganni che accompagnarono il processo di unificazione; i vizi di origine di un risorgimento che non fu solo lotta contro il dominio straniero, ma ebbe anche caratteri di guerra civile. Un libro che si occupa principalmente delle “conquiste” territoriali piemontesi, del brigantaggio e degli eserciti sconfitti, trascurando intenzionalmente quella parte di popolo italiano che cambiò la storia della penisola, con il sacrificio, la sofferenza e la vita. Di questa ristretta “elite” di uomini e donne si parla come di avventurieri e di mercenari, mentre dei veri mercenari, al soldo di Pio IX, si dice siano stati mossi ad arruolarsi nell’esercito papalino per “fede”, animati dallo siprito di una vera e propria crociata… . Un libro ricco di utili informazioni, sebbene animato da una eccessiva vena demolitoria delle pagine più alte del nostro Risorgimento.

 Bur saggi

 

Paolo Brogi : La lunga notte dei Mille

 Le avventurose vite dei Garibaldini dopo la spedizione del ’60. “Se ne andarono in ogni direzione, a costruir colonie e ad attaccarle, a chiedere la guerra ma anche la pace, chi verso un ministero e chi scegliendo l’Aventino, alcuni di destra, altri di sinistra, in un’Italia che stav a loro stretta e che spesso abbandonarono per altre frontiere”

 Liberi editore

 

Mario Isnenghi : Garibaldi fu ferito

 “La condanna a morte di Garibaldi nel 1834, non austriaca ma piemontese, e quella sorta di fucilazione procrastinata che fu la ferita nello scontro sull’Aspromonte solo un anno dopo l’Unità: due elementi che restituiscono veridicità e nerbo alla favola delle origini. L’uomo e il simbolo stanno stretti nell’immagine rassicurante del rivoluzionario disciplinato, cucitagli addosso dai trasformisti neo-monarchici, ex mazziniani e garibaldini che costituiscono buona parte della classe dirigente dell’Italialiberale.Persino i monumenti che riempiono le piazze coltivano immaginari alternativi, contraddicendo le forme usuali della rispettabilità borghese. Ecco perché il mito di Garibaldi può risorgere ogni volta in forme diverse: nell’ottocento proto-socialista e nel novecento interventista della Grande Guerra; nella presa di Fiume e nella guerra di Spagna; nella resistenza dei partigiani garibaldini vicini al partito comunista e nei simboli elettorali del Fronte popolare….”

 Donzelli editore

 

Marco Severini – La Repubblica Romana del 1849

 Un affresco rigoroso delle vicende che portarono la Repubblica Romana del 1849 ad imporsi, nello scenario internazione, come uno degli eventi più importanti del Risorgimento Italiano. E’ sempre più evidente, agli studiosi come agli appassionati, di quanta e quale importanza assunsero e assumono anche oggi l’idealità, la politica e le vicende umane ed eroiche di quella Repubblica democratica di 162 anni fa.

Marsilio Editori

 

Maurizio ViroliLa libertà dei servi

Gli italiani hanno dimostrato nei secoli una spiccata capacità di inventare sistemi politici e sociali senza precedenti. Anche la trasformazione di una repubblica in una grande corte è un esperimento mai tentato e mai riuscito prima. Rispetto alle corti dei secoli passati, quella che ha messo radici in Italia coinvolge non più poche centinaia, ma milioni di persone e le conseguenze sono le medesime: servilismo, adulazione, identificazione con il signore, preoccupazione ossessiva per le apparenze, arroganza, buffoni e cortigiane. Poiché il sistema di corte ha plasmato il costume diffondendo quasi ovunque la mentalità servile, il rimedio dovrà essere di necessità coerente alla natura del male, vale a dire riscoprire, o imparare, il mestiere di cittadini. Per quanto sia ardua, è la sola via. Il primo passo è capire il valore e la bellezza dei doveri civili.

Laterza – collana anticorpi

 

Mimmo FranzinelliUltime lettere dei condannati a morte  e di deportati della Resistenza 1943 – 1945

Una fonte autentica per sapere che cosa muoveva gli animi dei protagonisti della Resistenza è costituita dai loro messaggi indirizzati ai famigliari nell’imminenza della fucilazione o durante il penoso trasferimento verso i campi di sterminio del Reich.

LOsca storia Mondadori – Marzo 2006

 

Mario Pacifici – Una cosa da niente e altri racconti

Le leggi razziali del ’38 – La discriminazione antisemita in dodici racconti – il dramma di una minoranza tradita dal regime ed estromessa dalla propria Patria…Dopo la sconfitta del fascismo la facile autoassoluzione di chi non aveva avuto la forza d’indignarsi.

Opposto Edizioni – Roma  2012

Domenico Gallo - Da sudditi a cittadini – Il percorso della democrazia

 Excursus chiaro e sintetico  delle conseguenze storiche e sociali di due Costituzioni : quella di Carlo Alberto di Savoia che divenne la carta fondamentale del Regno d’Italia e del Fascismo, e quella Repubblicana del 1948 che oggi si tenta di modificare..

Edizioni Gruppoabele - Torino  2013

 

Claudio Fracassi - La battaglia di Roma - Il percorso della democrazia

Nella Roma “Città aterta” occupata dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943 spadroneggiano le SS di Kappler e i soldati della Wehrmacht; ma nella città giudicata cinica e indolente è una nuova leva di giovani e giovanissimi, ragazzi e ragazze, ad animare la ribellione e “rendere la vita impossibile all’occupante”….

Mursia Editore - Milano  2013

 

 

 Angela Maria Alberton Finché Venezia salva non sia -

Un approfondimento del Risorgimento in Veneto tra il 1848 e il 1866: dall’indagine sul volontariato garibaldino e sulle motivazioni che hanno spinto molti giovani veneti ad arruolarsi con la camicia rossa, alle cause dell’emigrazione dal Veneto al Piemonte e al Regno d’Italia tra il 1859 e il 1866. Un libro nel quale anche le classi popolari rivendicano il ruolo di protagoniste.

Cierre Edizioni - Verona  2012