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Dovere della memoria.

 Nel 170° anniversario della Repubblica Romana del 1849 siamo tornati al Gianicolo per ricordare, grazie a Cinzia Dal Maso e Annalisa Venditti, la vita e le circostanze della morte di Colomba Antonietti, giovanissima caduta di una giovanissima Repubblica democratica. (La vita in breve nel depliant  di Specchioromano , qui allegato, di Cinzia Dal Maso)

 

 

 

 

 

Inserita nella IX edizione del festival di Cerealia, festival ispirato ai riti della Vestali e ai ludi di Cerere ed esteso a tutti i paesi del bacino del Mediterraneo,  la breve cerimonia è stata introdotta da Cinzia Dal Maso che ha parlato del ritrovamento, nel 1939, dei resti di Colomba nella cripta della chiesa di San Carlo ai Catinari e di alcuni piccoli oggetti lasciati sul suo corpo, per una successiva e inequivocabile identificazione. Annalisa Venditti ha letto successivamente un brano di un articolo di Ceccarius del 1939 dal titolo “Le spoglie gloriose di Colomba Antonietti”. Successivamente sono stati consegnati i premi “Colomba Antonietti 2019″ a Elisabetta Guarini (ritirato da Maria Grima Serra) e Silvia Mori, socia quest’ultima della nostra Associazione e figlia del compianto Alberto Mori, cofondatore e vice-presidente della “Garibaldini per l’Italia”. Infine è stato deposto dal Presidente Paolo Macoratti, su invito di Cinzia Dal Maso, un mazzo di rose alla base dell’Erma marmorea di Colomba Porzi Antonietti.

    

   Il 30 Aprile 2019 l’Associazione Garibaldini per l’Italia ha deposto, per la prima volta in 170 anni di storia, una corona d’Alloro sul muro di Porta Pertusa, sommità delle mura Leonine che delimitano il territorio della Repubblica Italiana dallo Stato-Città del Vaticano (https://www.garibaldini.org/2019/04/appuntamento-30-aprile-2019/). Una cerimonia semplice ma significativa per onorare la memoria dei caduti della Repubblica Romana in quel giorno memorabile che sancì l’inaspettata sconfitta delle truppe Francesi assedianti ad opera delle forze repubblicane che difendevano la recente conquista delle più elementari libertà. E proprio a Porta Pertusa cadde il diciannovenne Tenente Paolo Narducci, prima giovanissima vittima di quella stagione eroica.

    Quella corona, così pregna di valori umani e morali e di un gesto che annulla lo spazio temporale che ci separa dal passato, è stata portata via da sconosciuti nella notte tra il primo e il due maggio! Non è facile abituarsi a questa decadenza, al continuo degrado delle più elementari forme di rispetto per il prossimo, per la comunità, per la memoria! Persino l’erma del Gianicolo dedicata a Paolo Narducci ha subito la stupidità di chi ne ha voluto oltraggiare l’immagine tingendo con vernice rossa le sue labbra.

    Fortunatamente, all’ignoranza culturale che progredisce con il passare del tempo, si contrappone ancora la vitalità di pochi resistenti che colgono l’occasione per manifestare la loro solidarietà con la forza della cultura e dell’ironia:

    Agli amici dell’Associazione “Garibaldini per l’Italia”-  Ho appreso dal Presidente Arch. Paolo Macoratti che il giorno 3 maggio u. s. la corona posta dalla Vostra Associazione il giorno 30 aprile per ricordare l’eroico romano Paolo Narducci ( 1° caduto a Porta Pertusa in quel giorno di 170 anni fa) non era più presente.

    La notizia di quanto sopra riportato mi ha lasciato interdetto e quasi incredulo. E’ mai possibile un atto del genere oggi, e cioè che dopo 170 anni esista ancora il bruciante rancore della disfatta dell’ esercito “imperiale” francese mandato da Napoleone III per rimettere sul trono il fuggiasco Papa Pio IX ? Mi domando poi se l’anonimo sacrilego autore dell’atto vandalico suddetto sapesse che quella corona (dato che nel nastro  era riportato solo il nome dall’Associazione  e non del commemorato) fosse stata posta a ricordo dell’eroico artigliere romano e degli altri caduti, proprio nel giorno della vittoria garibaldina!

    Carissimi amici, vi confesso che il pensiero di questa ignobile azione mi ha fatto venire alla mente una sinistra figura di un uomo vestito completamente di nero che si avanza silenziosamente intabarrato in un grande mantello e col viso che guarda sospettoso all’intorno. La memoria mi aveva mandato automaticamente il messaggio di un ricordo iconografico noto anche a  molti di voi: la figura è quella rappresentata nella testata del giornale romano del 1849 “Il Don Pirlone” dove è appunto raffigurata questa sinistra figura.

Un caro saluto      

Leandro Mais.

 

Riceviamo dal nostro Socio Onorario Leandro Mais una proposta che interessa il ricordo storico del 170° anniversario della caduta della Repubblica Romana, culminata con l’uscita da Roma il 2 luglio 1849, da Porta San Giovanni, di Garibaldi e dei Garibaldini.

Questa epigrafe, che riproduciamo in fondo all’articolo, su disegno dello stesso Mais, è in effetti opera ideata, mai eseguita dal Comune, del famoso scrittore romanista Gigi Huetter che la pose come iscrizione nella sua opera monumentale dedicata alla ricerca e trascrizione di tutti i testi delle lapidi di Roma.

Saremmo ben lieti se in questa ricorrenza del fatto storico suddetto si potesse ottenere dal Comune di Roma il permesso di poter mettere questo ricordo nella parte esterna della Porta S. Giovanni che guarda la via Appia.

 

l’Associazione Garibaldini per l’Italia, nel 170° della Repubblica Romana del 1849, ha onorato quello straordinario periodo storico, reso fertile dal sacrificio di tante giovani vite e dall’impegno dei più grandi personaggi del Risorgimento Italiano.

               MARTEDÌ 30 APRILE 2019 ORE 8,45              

            Porta Pertusa – Giardini pubblici - Con il Patrocinio del Municipio XIII di Roma Capitale     

 Per la prima volta in 170 anni abbiamo ricordato i caduti della battaglia del 30 Aprile 1849 anche a Porta Pertusa (sommità delle Mura Vaticane) ove fu ferito mortalmente il Ten. Paolo Narducci,  Primo caduto della neonata Repubblica. In presenza della Presidente del Municipio XIII, Giuseppina Castagnetta, della Fanfara dell’Arma dei Carabinieri diretta dal M.M. Fabio Tassinari, del Presidente della G.p.I.  Paolo Macoratti, della giornalista Cinzia Dal Maso, è stata deposta una corona d’alloro sul muro dell’antica porta. Erano presenti i Soci della “Garibaldini per l’Italia” Arturo De Marzi (Vice Pres.), Monica Simmons (Segretaria), Maurizio Santilli, Antonio Iadevaia, Matteo Manenti, Annalisa Venditti, Enrica Quaranta, Marcello Pellegrini, Stefano Dini, Gianni Blumthaler e altri convenuti. Il 7 Agosto 2012 abbiamo “scortato” i resti di questo ragazzo ventenne all’interno del Mausoleo-Ossario Gianicolense di Via Garibadi per la tumulazione, su invito dei discendenti e della giornalista Cinzia Dal Maso. Il 25 settembre 2013 i ritratti di Paolo Narducci e della madre Teresa Maciucchi, oltre alla corona mortuaria del giovane ufficiale, sono stati donati dalla nostra Associazione al Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina.

  

1849 – Combattimento a Via Aurelia – Calendario del 1916  (Collezione Leandro Mais – Roma)

 

                                 

 

 

MARTEDÌ 30 APRILE 2019 ORE 10,30             

Mausoleo-Ossario Garibaldino – Via Garibaldi 29/e Con il Patrocinio del  Municipio Roma I Centro

 Dopo la memoria di Porta Pertusa siamo stati presenti alla celebrazione di tutti i caduti della Repubblica Romana al Mausoleo-Ossario Gianicolense, insieme all’Associazione Nazionale Garibaldina, all’Istituto di Studi Internazionali Giuseppe Garibaldi e alla Società di Mutuo Soccorso Giuseppe Garibaldi. Al termine della cerimonia abbiamo premiato i migliori componimenti degli alunni delle due classi dell’Istituto G.G. Belli che hanno partecipato alla sesta edizione del Concorso “Alberto Mori”. Ha condotto la Cerimonia la Dott.ssa Enrica Quaranta

GIURIA presieduta dalla Prof. Silvia Mori e formata dai componenti della Commissione, Prof. Orietta Citoni, Segretaria Monica Simmons, Presidente Arch. Paolo Macoratti

Abbiamo letto con piacere le lettere dei giovani studenti dell’Istituto G.G.Belli, i quali si sono calati in un epoca estranea alle loro esperienze, utilizzando un mezzo di comunicazione, la scrittura manuale, a loro pressoché sconosciuto. Siamo lieti di vedere come, stimolati adeguatamente, i giovani possano ancora sorprenderci.

         Al di là dell’importanza dell’evento storico in se, come il passaggio dalla Monarchia assoluta alla Repubblica Democratica, e alla resistenza contro l’intervento francese che hanno caratterizzato la maggior parte dei componimenti, abbiamo rilevato nei ragazzi l’intenzione di immedesimarsi nei personaggi del popolo, ora modesto anche nel modo di esprimersi, ora colto, ma orientata in ogni caso al raggiungimento di quegli ideali universali di pace, giustizia e di amore per i quali è giusto combattere.

         Ringraziamo pertanto tutti gli studenti e gli insegnanti Carlo Felici e Paola Moresco che hanno aderito al progetto della nostra associazione.

 

BRANI DEI VINCITORI 6^ EDIZIONE PREMIO ALBERTO MORI

 

ISTITUTO G.G. BELLI – CLASSE III F

  3° classificato – Caterina Canepuccia ” Quel che sembrava impossibile ipotizzare fino a qualche giorno fa, si è verificato davanti i miei occhi. Qui ora vige la democrazia! E lo Stato Romano si è dato il nome di Repubblica Romana. Ma il Popolo è in festa e dimentica i pericoli che incombono. Il destino non è ancora deciso e occorre rimanere vigili e prudenti…”

2° classificato – Simone Pasqua ” Per concludere vorrei condividere con te solo un’ultima delle mie riflessioni: la Francia, il paese in cui sei nata e in cui vivi, è una Repubblica basata sulla libertà, la fratellanza e l’uguaglianza; mi domando, quindi, per quale motivo stia cercando di impedire la formazione di una Repubblica Romana, minacciandone la capitale e impedendone la formazione. Non capisco, ma nonostante le mie incomprensioni desidero combattere anche per questo motivo: sogno la lealtà”

  1° classificato – Simona Maria Casile E’ stato proprio questo spirito a non farci arrendere. In fondo guardate cosa abbiamo fatto: è nata una repubblica che nessuno si sarebbe mai immaginato ed è durata pure per ben cinque mesi. E’ vissuta, anche se agli occhi altrui solo per poco, esclusivamente grazie al nostro grandissimo spirito di sacrificio. Non scorderò mai quei corpi che giacevano per terra come dei massi, senza più respiro o parola, ma che sembravano conservare dentro di sé il desiderio sempre vivo di voler gridare al mondo:” anche noi vogliamo la nostra Patria!”……….Adesso, madre, ditemi: chiedevamo troppo? Avere dei diritti è qualcosa fuori dal naturale? Come ci è concesso di respirare, dormire o mangiare, abbiamo il diritto di votare chi ci governa, di essere liberi di professare la fede in cui crediamo, di essere tutti uguali e di non essere messi a morte per nessun motivo, perché la vita non appartiene che a noi. Chiedevamo troppo?”

Gli altri 2 selezionati sono: Aurora Naccari e Giulio Cesaretti Salvi

 

ISTITUTO G.G. BELLI – CLASSE III C

 

3° classificato – Gabriele Paolocci “La città è bellissima e ci sono tanti ragazzi che come me si sono trasferiti per un’ideale di uguaglianza, di fratellanza e di un luogo dove il potere sia nelle mani del Popolo….Oggi ci hanno comunicato una grande notizia, il nostro triunvirato (composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini) ha cominciato a scrivere un libro, credo si chiami la Costituzione; è un libro molto grande dove sono racchiusi tutti i nostri ideali…”

2° classificato – Federico Giovanola “Qui a Roma c’è una grande confusione; ogni giorno vedo persone con fucili in mano che sparano e combattono contro il nemico: si, hai ben capito, stiamo combattendo per difendere i nostri ideali, come dice mio padre. Tutti, uomini e donne, combattono e anche noi ragazzi aiutiamo facendo lavori anche molto rischiosi. Tutti i romani e anche i turisti o stranieri combattono contro il nostro nemico: il Papa aiutato dai Francesi..”

1° classificato – Lodovica Salvini “Caro amico, con questa mia sono qui a dirti che finalmente Roma ha un suo governo, il Papa è fuggito a Gaeta dai suoi amici Borboni e Firenze già da un mese è governata dai democratici Guerrazzi e Montanelli; finalmente comincio a sperare che con oggi abbiamo fatto un altro importante passo avanti per unire in un solo stato la nostra bella penisola; un sogno che si sta tramutando in realtà. Finalmente abbiamo un governo del popolo, un governo rappresentato da tre patrioti convinti denocratici, Armellini, Mazzini e Saffi, e sembra che addirittura stia raggiungendo Roma Garibaldi, lo ricordi, il nostro grande condottiero..”

Gli altri 3 selezionati sono: Adriano Jannuzzi, Azzurra Barassi, Lorenzo Vitale

                                                                                             

 

 

8 MARZO 2019 - ORE 11,00

 Roma, Gianicolo – Monumento ad Anita Garibaldi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gianni Riefolo

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel 1932 l’Italia fascista commemorò con una lunga serie di eventi il cinquantenario della morte di Giuseppe Garibaldi. Al Palazzo delle Esposizioni fu allestita una prestigiosa mostra garibaldina, mentre furono pubblicati gli scritti dell’Eroe dei Due Mondi.

Le manifestazioni più importanti si svolsero però a giugno. Il primo del mese ci fu il trasferimento a Roma dei resti di Ana Maria De Jesus Ribeiro, meglio conosciuta come Anita, inseparabile compagna di Garibaldi. Il giorno seguente i resti furono tumulati in un loculo ai piedi del monumento eretto in sua memoria sul Gianicolo. Il 4 giugno, alla presenza di un foltissimo pubblico, delle autorità, di Vittorio Emanuele III, della regina Elena in veste di madrina e di Benito Mussolini, il monumento fu inaugurato, come testimonia un filmato dell’Istituto Luce.

Anita era nata in Brasile, nei pressi di Laguna, Stato di Santa Caterina. Non se ne conosce la data di nascita precisa, anche se la sua città le ha attribuito quella del 30 agosto 1821. Era già sposata con Manuel Duarte de Aguiar (pescatore) quando incontrò Giuseppe Garibaldi nell’agosto del 1839 a Laguna. Lui se ne innamorò perdutamente e fu ben presto ricambiato: già nell’ottobre Anita era imbarcata su una nave con l’eroe e da allora per dieci anni condivise l’inquieta e pericolosa vita di Garibaldi.

“Non meno fervida di me – la descriveva l’eroe – per la sacrosanta causa dei popoli e per una vita avventurosa”.

 

Articolo del Prof.  Carlo Felici tratto da “Avanti on Line”

Viviamo in tempi di sovranità sempre più limitata, perché l’orizzonte globale in cui si estende la ferrea ideologia del “capitalismus sive natura”, con cui si pretende di far credere che non esista altra verità oltre quella del contingente, non rende possibile altra libertà che non consista nel sentirsi pienamente organici ad un imperativo categoricamente vincolato alla necessità di adeguare il volere al dovere essere merce per fini di profitto. Anche la nostra bella Repubblica nasce già con questo imprimatur, in un’epoca in cui fu già molto importante essere riusciti ad redigere una Costituzione tra le più avanzate al mondo, e, potremmo dire senza tema di smentita, anche troppo “avanzata” per un popolo poco educato e ancor più scarsamente abituato alla consuetudine dei diritti e dei doveri necessari ed indissolubili in un autentico tessuto democratico.

La nostra Repubblica è così nata con un abito meraviglioso che però ha per molto tempo nascosto vergogne alquanto luride e meschine: servilismo, corruttele, clientelismo, ruberie, immoralità largamente diffuse nella gestione del potere e dell’amministrazione pubblica, collusioni con mafie di ogni tipo e permanenti tendenze municipaliste e centripete, sempre in agguato, per minare il senso di appartenenza ad una comunità e ad uno Stato che, se il fascismo aveva idolatrato, la repubblica dei boiardi ha continuato, nei fatti, spesso a bestemmiare senza ritegno. Tutto questo, mentre gli equilibri geostrategici non ci hanno mai consentito di esercitare una sovranità vera, tale cioè non da alimentare prosopopee imperialistiche, ma almeno per decidere del nostro destino, oppure per sapere bene come e perché sono accadute le stragi più efferate nel nostro territorio: da Portella della Ginestra, a Bologna, a Ustica e via dicendo, enumerarle tutte per l’ennesima volta sarebbe alquanto deprimente, ma tant’è, sono lì, nella nostra storia, ancora senza veri colpevoli, senza mandanti..basta la cattura di un latitante ex terrorista per cancellare tutto questo? C’è mai stato un momento in cui gli italiani sono stati liberi e sovrani nella loro millenaria storia di servi di re, imperatori, papi, feudatari, dittatori e plenipotenziari? No, forse perché gli italiani hanno sempre trovato più comodo associare la libertà alla furberia di fare i loro comodi, addossando la responsabilità dei loro errori al loro “sovrano” di turno, e ovviamente cercando di fregarlo alla prima occasione buona, e infine impiccandolo magari per i calzoni o buttandolo in un luogo remoto del mare nostrum, appena non avesse più fatto comodo a tutti.

Qui la libertà è sempre stata solo un sogno di pochi eletti o di pochi mesi. Troppo nevralgico infatti è sempre stato un paese ficcato e proteso al centro di un mare che ha visto scontrarsi ed incontrarsi civiltà di ogni genere e sorta, perché qualcuno non volesse farne il suo trampolino personale adatto a tuffarsi nelle onde della sua ambizione individuale, e tutto questo fino ad oggi, quando però rischia di tuffarsi in un mare di monnezza o di rifiuti tossici. E allora, tanto per tornare ad uno di quei sogni in cui forse è bello risvegliarsi solo nella luce di una eterna ed eroica beatitudine che ha però come viatico solo la morte, ci piace pensare all’unico sprazzo di libertà e di sovranità popolare e nazionale, di repubblica autenticamente democratica, concessa agli italiani nell’epoca moderna: la Repubblica Romana del 1849 Quella, è bene ricordarlo, non fu tanto una rivoluzione o una insurrezione, perché i romani allora, e con essi alcuni credevano che potessero averlo anche gli italiani, un governo sovrano lo avevano già, ed era quello del papa: Pio IX, che tante belle quanto vane speranze aveva suscitato, assecondando il progetto giobertiano di un paese libero sì, ma solo dallo straniero, per il resto però, continuamente assoggettato ai sovrani locali, tutti devoti e riconoscenti verso un unico sovrano nazionale e “federale”: il papa. I romani protestarono sì, contro il papa, quando un suo ministro e fiduciario venne ucciso, perché sostanzialmente incapace di salvare gli equilibri politici, quando questi divennero fragilissimi per la stessa incapacità del papa di mettersi a capo di una vera guerra di liberazione, seguendo magari l’esempio di alcuni suoi illustri predecessori come Alessandro III, ma soprattutto perché il popolo, una volta assaggiata la libertà, ci aveva preso gusto.

Così, dopo quella uccisione, lo stesso popolo romano, non si fece vergogna di andare a “stanare” lo stesso pontefice al Quirinale, per esigere maggiori diritti, e quando le guardie svizzere lo presero a fucilate, insorse finalmente, ma senza per altro prendere a cannonate la dimora del Papa come se fosse la Bastiglia. Anzi, chi lo conduceva si parò, per impedirlo, persino davanti ai cannoni spianati, tanto rispetto si aveva..persino delle architetture. Questo però non impedì a qualche monsignore come Palma, di impugnare la pistola e di dare una lezione ai facinorosi, magari di nascosto, da dietro una persiana, finendo però, a sua volta impallinato inesorabilmente. Il papa così si spaventò e scappò a Gaeta, una fortezza considerata, fino all’arrivo dei piemontesi che la spianarono a cannonate anche a costo di fare una strage, inespugnabile. E da lì non si trattenne più dal gridare “Al lupo repubblicano! Al lupo repubblicano!” a tutta Europa, finché non fu sicuro di smuovere ben quattro eserciti contro quella scalcagnata ed irreverentissima repubblica, che però, in fondo, si limitò solo a riempire un vuoto, a colmare un horror vacui, e che pur lo fece con grandissima civiltà, memore delle migliori esperienze illuministe, democtatiche e anche socialiste dell’epoca.

Scrisse allora il suo ministro degli esteri, Rusconi: “La Repubblica Romana, derisa da alcuni, destata da altri, mal giudicata da tutti, vuol essere apprezzata sotto tre differenti aspetti: il governo, l’assemblea, il popolo. Un paese è disorganizzato quando i poteri che lo reggono sono in lotta tra di loro o non sono l’espressione vera dei sentimenti delle moltitudini… Ora questa armonia, questa concordanza si videro appunto nella barbara repubblica di Roma; governo, assemblea e popolo furono all’unisono nei sentimenti, nei desideri, nelle opere; ed è un fatto che poche volte si riscontra; se l’ordine, il benessere e la pace non sono quindi segno di barbarie, e l’anarchia, il terrore e la miseria non lo sono di civiltà, può infierirsi che Roma repubblica non fu così selvaggia quanto disse la reazione.” Per parlare adeguatamente della Repubblica Romana, sarebbe necessaria una enciclopedia, o almeno un volume di vasto respiro (che non escludo che scriveremo un giorno), anche perché per troppo tempo su questa esperienza cruciale della nostra storia è calato il silenzio: dalla seconda guerra mondiale al dopoguerra, in cui per altro uscirono alcuni studi importanti come quelli di Demarco, Bonomi o Rodelli, fino alle soglie del nuovo millennio, quando finalmente l’amore per questa storia un po’ dimenticata è risorto con una serie di nuovi studi, sia a cura degli storici di professione sia ad opera di alcuni bravi giornalisti: basti ricordare tra i vari: Severini, Monsagrati, Tomassini e Fracassi, per circa 40 anni però se ne è parlato pochissimo. I libri più importanti su questo periodo restano comunque quelli editi subito dopo tale esperienza e consegnati alla storia: Rusconi, Vecchi, Del Vecchio, Farini, Torre, e poco più in là, Beghelli, Leti, scrissero le pagine più affascinanti di questa vicenda, alcuni persino in presa diretta, sotto forma di diario epistolare, come Paladini e Lazzarini. Il bello è che, nonostante la perdurante smemoratezza degli italiani o la permanente disattitudine alla lettura, i testi di questi autori sono ormai, essendo dopo tanto tempo privi di diritti d’autore, patrimonio storico di tutti e messi on line dalle più importanti università americane, oppure da loro stesse ristampati in fotocopia. Si vede che negli USA alla tradizione storica repubblicana e risorgimentale tengono più di noi. E’ quindi poco opportuno in questa sede ripercorrerne dettagliatamente o anche solo sinteticamente le tappe fondamentali, dalla sua fondazione alla sua sconfitta, dovuta al perdurante assedio e bombardamento non solo delle mura, ma anche di case, ospedali, chiese e monumenti, ad opera del più potente esercito di quell’epoca: quello francese, ci interessa invece maggiormente comprenderne la sua validità politica e sociale e soprattutto capire quale monito essa eserciti ancora verso le nostre coscienze.

La rimozione della sua storia e la sua rinascita recente, infatti, coincidono con la storia di una Repubblica la cui Costituzione, sebbene fosse figlia diretta di quella emanata per un solo giorno dalla Repubblica Romana, è rimasta in vigore in modo continuamente snaturato ed inapplicato per decenni, per essere infine “picconata” e destrutturata negli ultimi venti anni, fino a quello che rischia di configurarsi come il suo stravolgimento odierno definitivo, fino a che non ci sarà più differenza tra costituzione formale e materiale, ma ci sarà solo una costituzione “maceriale” imposta cioè sulle macerie della nostra democrazia. Tornare a ricordare la Repubblica Romana, da venti anni a questa parte, è quindi un po’ come un lacerante singulto di amarezza e nostalgia, non solo per ieri ma anche per l’oggi La Costituzione e l’opera della Repubblica Romana furono un lampo di luce nell’oscurità di un’epoca in cui prevalevano i velleitarismi e gli assolutismi, essa fu la reazione più fulgida sia al terrore giacobino sia a quello della tirannide che del giacobinismo adottò entusiastica lo stesso strumento di morte: la ghigliottina. Nel breve periodo in cui essa si affacciò alla vita, fece in tempo a lanciare un messaggio di libertà e di giustizia sociale che, eternamente, il futuro non potrà non accogliere, anche se noi, con questo nostro presente, ne siamo ancora indegni.

Lo studio sui provvedimenti sociali più significativi ed avanzati della Repubblica Romana resta quello di Demarco, nell’ultimo libro della sua trilogia sullo Stato Romano in epoca moderna fino alla Rivoluzione. Egli fa notare non solo la rilevanza e la straordinaria capacità innovativa dei provvedimenti presi, ma mette altresì in luce la fragilità di un assetto istituzionale, che, pur guardando molto avanti nel futuro, non aveva purtroppo gambe solide per raggiungerlo e purtroppo non ne trovò nemmeno in altre nazioni sorelle. Il grande paradosso di quella storia fu che finì male a causa dei francesi, ma i rivoluzionari proprio sui francesi contavano, allora, per poter conseguire il loro lieto fine; almeno su coloro che, un anno prima, in Francia e a Parigi, erano scesi nelle vie e nelle piazze erigendo barricate, e che tentarono di nuovo di insorgere il 13 giugno del 1849, con Ledru Rollin, che provò impavidamente a guidarli, ma, essendo troppo pochi, furono presi a sciabolate dai dragoni, e il loro stesso leader montagnardo fu costretto all’esilio per ben 20 anni: tutto il tempo in cui in Francia fu al potere Napoleone III. Da allora la sorte della giovane Repubblica fu davvero segnata.

Su Gabriel Laviron: artista, filologo, litografo, scrittore e antiquario francese, in ogni caso, i rivoluzionari romani poterono contare fino alla fine: si fece ammazzare dai suoi conterranei, indossando la camicia rossa garibaldina. Il grande direttore di questa sinfonia di primavera, lo sappiamo, fu Mazzini e fu proprio grazie alle sue capacità morali, e diremmo anche religiose, che questa Repubblica non degenerò né in un bagno di sangue e tanto meno in formule astratte, in sterili quanto velleitari classismi. Mazzini seppe tenere unito il popolo alle istituzioni e seppe forgiare istituzioni che fossero credibili per il popolo, in cui lo stesso popolo poteva incarnare la forza della legge da applicare. Il suo carisma si impose perché egli non fu uomo di parte ma uomo della Comunità tutta, senza indulgere in sterili quanto inutili antagonismi tra finte destre e finte sinistre, come accade fin troppo spesso miseramente sotto i nostri occhi: “Ho udito parlare intorno a me di diritta, di sinistra, di centro, denominazioni usurpate alla retorica delle vecchie raggiratrici monarchie costituzionali; denominazioni che nelle vecchie monarchie costituzionali rispondono alla divisione dei tre poteri, e tentano di rappresentarli; ma che qui sotto un Governo repubblicano, ch’è fondato sull’unità del potere, non significano cosa alcuna”. Questo affermava Mazzini il 10 Marzo 1849 alla Repubblica Romana.

Si chiesero allora, con prestiti forzosi, contributi ai più abbienti, si distribuirono case ai più poveri e terre ai nullatenenti, la Repubblica Romana fu la prima in Europa a dichiarare che la credenza era libera e che la fede religiosa non poteva essere una discriminante per l’esercizio dei diritti politici e civili, abolì la pena di morte, fece sparire il ghetto ebraico, concesse ampia autonomia ai Municipi, dai quali ampiamente provennero gli eletti della sua Assemblea Costituente, vennero spezzati i monopoli più abietti, come quello del sale e si cercò di incentivare largamente iniziative per incrementare i lavori pubblici. I malati di mente vennero trasferiti da un reclusorio malsano sulle rive del Tevere in prossimità del S. Spirito, in una villa in collina a Frascati, prima residenza estiva dei gesuiti. Soprattutto si dette il buon esempio, il nuovo esecutivo della Repubblica, infatti, considerando la crisi economia e le ristrettezze, tra i primi provvedimenti che considerò necessari, adottò quello di dimezzare lo stipendio mensile dei suoi membri da 300 a 150 scudi. E senza usarlo strumentalmente per incrementare favori popolari, dato che Saffi ne parlò solo vari mesi dopo la caduta della Repubblica. Purtroppo per un’opera così colossale mancavano le risorse soprattutto finanziarie e fiscali e lo stesso passaggio dalla moneta del papa a quella della Repubblica generò enormi problemi di cambio e di liquidità corrente che impedirono l’attuazione di molti provvedimenti e scontentarono varie categorie di cittadini. Sul piano prettamente pragmatico, quindi, forse più utile sarebbe stato un passaggio graduale, tramite un governo moderato. Ma ciò fu reso impossibile non tanto dalla presenza di Mazzini, quanto dall’ostinata volontà del papa di non voler cedere più ad alcun compromesso, persistendo nel reclamare la necessità di una reazione a tutti i costi verso ogni ostacolo che si opponesse al ritorno di un suo pieno assolutismo.

I moderati come Mamiani, inoltre, non coglievano pienamente la necessità che quella Repubblica fosse un esempio ed un embrione di una istituzione e di un governo da estendere a tutta l’Italia come invece sempre la Repubblica ambì ad essere. Un carteggio tra il rivoluzionario Mameli e il moderato Mamiani sulla possibilità o meno di estendere la cittadinanza anche a chi non fosse romano lo dimostra ampiamente. E la vittoria dei democratici come Mameli, fu anche il preludio ad una democrazia avanzata e basata sullo jus soli, sul fatto cioè che chi lavora e combatte per uno Stato in cui entra e risiede, ha pieno diritto alla sua cittadinanza, che la Repubblica si impegnava a concedere ai residenti immigrati dopo un solo anno. Tutto questo spiega l’ardore con cui, non solo i romani, ma anche tutti coloro che provenivano dall’Italia e dall’estero, combatterono e sacrificarono eroicamente le loro vite a Roma, quando il bonapartismo volle imporre il ritorno del papa re, per mire non religiose ma del tutto egemoniche, per sostituirsi cioè all’Austria nel controllo geostrategico del rinnovato stato vaticano e indirettamente così, del resto d’Italia. La Repubblica Romana emanò la sua Costituzione di un solo giorno il 3 luglio del 1849, perché l’indomani le truppe francesi, ormai padrone della città eterna, imposero la loro tutela al ritorno del papa in veste di re, tuttavia essa non firmò mai, mediante i suoi rappresentanti istituzionali, un atto di capitolazione. E quindi possiamo tuttora considerare il suo governo non soppresso ma sospeso.

Anzi, con i tempi che corrono, dobbiamo considerarlo solo sospeso, sebbene sia passato ormai più di un secolo e mezzo da allora. Perché la libertà che si basa sui diritti e sui doveri, equamente distribuiti tra i cittadini di una Repubblica democratica, non si esaurisce mai. Ed ogni qual volta che essa è minacciata, calpestata, derisa o sopraffatta, non solo con la forza delle armi, ma purtroppo ancor di più mediante l’inedia e l’inerzia dei cittadini che inconsapevolmente, affidandosi ad oligarchi e plutocrati ridiventano sudditi, essa può e deve risorgere, proprio alimentandosi dalle sue sorgenti più pure e trasparenti. Teniamolo a mente oggi, in un momento in cui la sovranità popolare è anche stata seriamente minacciata in Italia dal varo di leggi elettorali liberticide e dal tentativo di rendere ineleggibili direttamente organi istituzionali fondamentali per lo Stato come il Senato della Repubblica. A combattere per la strenua difesa della Repubblica Romana affluirono a Roma anche coloro che non erano repubblicani, non erano comunisti o socialisti, e sebbene la stampa clericale e moderata dell’epoca tendesse a raffigurare i rivoluzionali romani coma una banda di anarchici comunistoidi e facinorosi. A combattere e a morire furono patrioti non solo dell’Italia, ma anche, considerata la presenza di artisti, intellettuali, militari e lavoratori europei di varia provenienza, persino sudamericana, di un mondo libero, di una Europa dei popoli fraterni e solidali. Per questo la memoria di quegli eventi è tuttora non solo un monito, ma anche un esempio da seguire per tutti coloro che sono tentati di reagire all’assolutismo economico e monetario vigente con forme varie di sovranismo autoritario ed autoreferenziale, con improbabili quanto astrusi ritorni a stati nazionali autoreferenziali.

La Repubblica Romana non fu infatti l’esaltazione dello Stato assoluto ma, più concretamente, quella di uno Stato che si inchina davanti ai suoi artefici: i cittadini. Scrive infatti ancora Rusconi: “Qual è il migliore dei governi? Quello che governa meno….la scienza sociale non è in alcuni uomini, ma nelle moltitudini; il movimento rivoluzionario e progressivo non si sprigiona da un individuo, ma da tutto un popolo; gli individui, i singoli uomini non sono nulla, l’azione loro è passata per ciò che riguarda la società; il culto degli individui è irrevocabilmente finito; avviso agli ambiziosi”.

Rusconi credeva anche in qualcosa che oggi è condannato alla damnatio memoriae della peggiore vulgata mediatica italiana, ma che pur ha fatto la storia più illustre di questo paese: il Socialismo, possiamo considerare serenamente e seriamente che quelli come lui fossero concretamente gli antenati dei nostri padri costituenti. Ci credeva ma non volle imporlo a nessuno, lo testimoniò solo con il suo esempio personale, insieme ad altri che credevano in altre forme di democrazia.

Le sue domande sono tuttora le nostre domande e quelle di una Europa che voglia essere più autentica e credibile: “Fra la concorrenza e il monopolio vi è una via di conciliazione? Fra il fatto e il diritto vi è un’oasi di riposo nell’economia e nella società? Fra le teorie del valore e la realtà pratica vi è modo di sopprimere le lotte? Fra il salariato e il capitalista può levarsi la sbarra che mantiene perpetuo l’attrito dei tempi nostri? L’usura può essere tolta dall’ordine del giorno? Il credito può farsi generale? L’industria deve passar perennemente sotto le forche caudine del capitale? E’ equa la bilancia del commercio? Sono eque le tasse, o piuttosto devono sussistere tasse, nel significato di questa parola, in una società ben ordinata? La proprietà, che con la divisione del lavoro, ha subite tante modificazioni, ha raggiunto la sua ultima formula, e deve permanere in uno stadio che condanna alla lunga il proprietario all’atrofia e alla bancarotta, che condanna a un’inevitabile miseria il lavoratore? Non vi è una sintesi da desumere da questo conflitto di interessi, di passioni, di bisogni, da questo cozzo, potrebbe darsi, del vecchio mondo col nuovo? … problemi palpitanti di attualità, come dicono gli stessi francesi, a cui si vuol dar soluzione, e a far tacere i quali riescono inefficaci tutte le baionette del mondo”.

Se quindi vi capiterà di assistere dalle mura del Gianicolo o da porta S. Pancrazio ad un classico e fulgido tramonto romano e scorgerete di lontano rosseggiare le mura del Vascello, oppure, nell’ombra della sera, svettare tra gli alberi l’Arco dei Quattro Venti, ripensando con malinconia alle migliaia di morti che affollarono quelle poche centinaia di metri, eco di tutti gli altri che, nel corso della storia successiva, anche in loro nome, hanno fatto lo stesso andando senza esitazione a sacrificarsi non solo per la Patria, ma ancor di più per la libertà, la democrazia, i beni comuni e la fraternità tra gli italiani e con gli altri popoli, se un’ombra lunga di malinconia ghermirà la vostra coscienza infelice, in particolare nello sconforto dei mala tempora che currunt, non scoraggiatevi, non smettete di lottare, e soprattutto non smettete di credere. Perché abbiamo ancora una Costituzione che è figlia diretta di quella di allora, durata per noi non solo un giorno ma per più di settanta anni.

Sovra l’avel dell’esule,
Sotto la sacra pianta,
Fede diventa il trepido
Desìo dell’alma affranta:
Si fanno eroi gl’ ignavi;
Il gemito de’ schiavi
Si fa de’ forti il fremito,
Si fa terror dei re

(Goffredo Mameli)

Carlo Felici

      Con una lettera inviata al Comune di Roma (Sindaca, Assessore alla crescita culturale, Sovrintendente ai Beni culturali ) l’Associazione “Garibaldini per l’Italia”, astenendosi dal partecipare il 9 Febbraio alla cerimonia del 170° anniversario della Proclamazione della Repubblica Romana del 1849 che si è svolta nell’area del Mausoleo, ha voluto esprimere il proprio dissenso verso le autorità comunali per non essere state in grado di garantire la partecipazione popolare, rappresentata dalle associazioni culturali e d’arma, alla cerimonia istituzionale promossa dal Comune di Roma. Come rappresentato nella lettera indirizzata alla Sindaca Virginia Raggi, abbiamo ritenuto fosse grave tale emarginazione perché, oltre a mettere in sott’ordine il volontariato costante che si preoccupa di fare memoria ogni anno della storia unitaria e risorgimentale (diffondendo nella comunità e in particolare nelle giovani generazioni i valori della nostra formazione repubblicana), tradisce lo spirito delle due Costituzioni, quella della Repubblica Romana del 1849 e l’attuale vigente, entrambe orientate a considerare come unico organismo il Popolo e le Istituzioni.  Il momentaneo attrito non ha comunque impedito a un gruppo rappresentativo della nostra Associazione di fare memoria di quell’evento straordinario, senza banda, senza applausi, portando al “muro della Costituzione” del Gianicolo il nostro pensiero riconoscente a chi ha scritto con la penna e il sangue le pagine fondamentali della convivenza civile.

Il 24 dicembre 2018 ci ha lasciato Gianni Riefolo.

Gianni era sempre lì, con la sua bandiera rossa, il basco o il cappello, il fazzoletto tricolore, ora dell’ANPI ora della FIAP ora dei GARIBALDINI PER L’ITALIA, sempre presente a quelle occasioni che annualmente scandiscono il tempo della memoria e che vengono riproposte per non dimenticare, per mantenere vivi quei valori che hanno fondato la nostra vita, prima unitaria e poi democratica e repubblicana.

Gianni Riefolo, legato ad alcune delle tante realtà di volontariato che hanno avuto e hanno in comune la passione per quella stagione eroica di sacrificio e sangue che si è guadagnata un posto di primo piano nella scala del progresso civile, ha avuto il grande merito di aver creato, senza computer, senza internet, una rete fittissima di relazioni umane centrata sui valori. Al di là dei progetti e dei desideri, delle scelte politiche e delle proposte al limite dell’utopia, che ha cercato di condividere con tutti, restano di Gianni vivi e limpidi i riferimenti educativi di mazziniana memoria, condivisi da moltissime persone e testimoniati da decine e decine di messaggi che si possono leggere nel gruppo della pagina whatsApp a lui dedicata.

E’ stata di Gianni l’iniziativa di dedicare due date, l’8 marzo e il 4 agosto di ogni anno, alla memoria di Anita Garibaldi. Continueremo a farlo noi dell’Associazione Garibaldini per l’Italia, e questa sarà l’occasione migliore per ricordare con affetto anche questo semplice, umile garibaldino del nostro tempo.

GARIBALDI E LA FORTUNA MILIONARIA D’UN UMILE FRANCOBOLLO

di Leandro Mais

     Uno degli ultimi decreti dittatoriali di Garibaldi a Napoli riguarda la diminuzione del prezzo della spedizione dei giornali. Con questo provvedimento l’Eroe stabiliva che l’unico mezzo di informazione popolare  – ovvero il giornale – avesse un costo molto più basso. Il costo per la spedizione di un giornale, al tempo dei Borboni, era di ½ Grana; con questo provvedimento fu portato a ½ Tornese (il valore di 1 Tornese corrispondeva ad ¼ di Grana, per cui ½ Tornese valeva 1/8 di Grana).

     Il tempo della Dittatura garibaldina era alla fine e il lavoro che occorreva per modificare il vecchio francobollo borbonico  era notevole: non solo si doveva cambiare il valore ma anche eliminare lo stemma borbonico che figurava nel centro dei 100 valori della tavola da ½ Grana. Pertanto si decise soltanto di cambiare il colore in bleu-savoia (tutti i francobolli del Regno Napoletano erano di color rosa polvere),  togliendo soltanto la G di grana e sostituendola con una T di tornese. Naturalmente l’operazione, seppure semplificata, richiese un notevole tempo per cui il nuovo francobollo per giornali vide la luce soltanto il 6 novembre 1860 (prima data conosciuta,  ovvero tre giorni prima della partenza di Garibaldi per la sua Caprera).

     Con la nomina di Farini alla Luogotenenza delle Terre del Sud si procedette immediatamente alla definitiva trasformazione del francobollo, sostituendo lo Stemma Borbonico con la Croce Sabauda. Per tale operazione furono scalpellati quindi uno per uno i 100 Stemmi Borbonici rimasti nella tavola (precedentemente trasformata  nel solo valore e colore), sostituendoli con la Croce Savoia (il colore era sempre bleu come il precedente). Questo nuovo francobollo fu emesso il 6 dicembre, un mese dopo il precedente.

     A questi brevi cenni storici aggiungo qualche notizia di carattere filatelico. Tutti i vecchi collezionisti  sanno che il primo francobollo è conosciuto col nome di “1/2 Tornese Trinacria  o “della Dittatura”, mentre il secondo “1/2 Tornese Crocetta” o della “Luogotenenza”. Il brevissimo tempo in cui fu usato il primo (1/2 T Trinacria ) ha fatto si che questo francobollo, dal costo bassissimo, divenisse subito uno dei pezzi più rari della filatelia mondiale. Un altro fattore che contribuì alla sua rarità fu quello del suo uso, ovvero dall’essere applicato metà sul giornale e l’altra metà sulla fascetta, per cui, nel liberare il giornale dalla fascetta, si provocava la rottura del francobollo.

     Per meglio illustrare quanto detto  chiudo queste brevi note con le foto di questi due rari esemplari  (ambedue allo stato di usati) ricercatissimi.  

 

 

 

151° Campagna dell’Agro Romano
1867 – 2018

VILLA GORI – Martedì 23 OTTOBRE ore 10,30

ASS. GARIBALDINI PER L’ITALIA
A.N.G. ASS. NAZ. GARIBALDINA – IST. INTERNAZ. DI STUDI G. GARIBALDI

 

Partecipano:

Piccchetto armato Esercito Italiano

Fanfara della Polizia di Stato

Scuola G.G. Belli – Roma – Classe 3F

http://youtu.be/SZ3MSwaMRnM

http://youtu.be/qke7_BhsksM

     In occasione della Giornata del camminare si è svolta a Roma domenica 14 ottobre, promossa da Andrea Mori,  una passeggiata organizzata dall’Associazione Inforidea in collaborazione con l’Associazione “Garibaldini per l’Italia”. Con partenza dal monumento dedicato ad Anita Garibaldi al Gianicolo, e attraverso un itinerario che prevedeva delle soste presso l’Erma di Colomba Antonietti, la statua di Righetto, quella di Ciceruacchio, l’Arco dei quattro venti all’interno di Villa Pamphili e Villa Spada, il presidente Paolo Macoratti ha ripercorso i momenti storici più importanti che hanno caratterizzato la breve ma fondamentale esperienza  della Repubblica Romana del 1849, citando personaggi, narrazioni e corrispondenza di alcuni protagonisti noti e meno noti di quell’indimenticabile e fondamentale evento. Erano presenti per l’Associazione Garibaldini per l’Italia, oltre ad Andrea Mori e Paolo Macoratti, la segretaria Monica Simmons e Silvia Mori, e un cospicuo numero di partecipanti.

LA VERA STORIA DELLA MEDAGLIA –PREMIO DEL 1874 A GARIBALDI

di Leandro Mais

    In un articolo precedente (www.garibaldini.org/2016/06/garibaldi-agricoltore/

scritto in occasione della mia decisione di donare alla  Casa di Caprera la medaglia premio conferita a Giuseppe Garibaldi per l’esposizione agricola  di Sassari del 1874 (che mi era stata venduta molti anni fa), posso con piacere comunicare oggi agli amici – tratta da documenti dell’epoca – la vera storia di questo premio.

   Devo alla gentile cortesia dell’amico maddalenino Remigio Pengo l’avermi informato dell’esistenza di un manoscritto, recentemente ristampato a cura dei discendenti dell’autore, di memorie del 1874 (anno dell’esposizione di Sassari) del nobile Pietro de Quesada di San Saturnino di Sassari. Questi fu nella metà dell’800 un grande uomo politico nonché appassionato viaggiatore .

   Un capitolo di questa miscellanea di ricordi dei vari paesi della Sardegna si intitola appunto: “CAPRERA-VISITA AL GENERALE GARIBALDI”. Scelta dal Quesada l’isola di Maddalena per passare un periodo di vacanze marine ed avendo lì incontrato il Maggiore dei “Mille” G.B. Basso, il nobile si accordava con lui  per una visita al Generale insieme alla figlia ed alcuni amici.

    Riporto esattamente il periodo dell’opuscolo che riguarda la suddetta medaglia:

“Essendosi Garibaldi mostrato dispostissimo a secondare il mio desiderio, io trassi dal mio portafogli la cartolina nella quale erano segnati i punti sui quali io dovevo interrogarlo e gli feci le seguenti domande:

D – Generale – ha ella tentato di propagare le patate d’Africa, che sono di una dolcezza singolare e molto farinacee?

R – Il terreno di Caprera è fertilissimo e capace delle migliori coltivazioni come quella che mi indicate. A proposito di patate – ho ricevuto questa mattina la visita del Sindaco di Maddalena – il quale mi ha presentato la medaglia conferitami dal Comitato dell’ Esposizione Regionale di Sassari, tenutasi in quest’anno per le patate da me inviate a quella mostra – medaglia se si vuole, immeritata … immeritata”

   Questo scritto ci fa edotti che: 1° la medaglia-premio a Garibaldi fu consegnata al Generale in Caprera proprio quella mattina del 1874 (giugno-luglio?) dal Sindaco di Maddalena – 2° si può con questo per quanto detto stabilire con certezza che la medaglia suddetta si trovava nella Casa del Generale in Caprera.   

    La notizia storica conferma, a mio avviso, che la medaglia faceva parte dei ricordi esistenti nella Casa del Generale. A tale riguardo faccio notare che delle tante medaglie d’oro offerte al Generale (il sottoscritto ne ha sicuramente individuate n. 7 ) attualmente non ne è presente alcuna.

NOTA – Opuscolo pag. 50 :”Maddalena e Caprera” – Ricordi di Pietro di San Saturnino – Sassari – tipografia Sociale – 1874.  Ristampato dal CO. RI. S. MA,  senza data

 

 

 

 

 

Foto del pronipote dell’Eroe con la medaglia, eseguita il 16 Agosto 2018

       Si dice che il realismo degli eventi storici non dovrebbe mai essere messo in discussione dalla congiunzione ipotetica “se”, visto che la concatenazione dei fatti non sarebbe altro che la risultante delle volontà delle singole persone. Di conseguenza sarebbe importante e necessario evidenziare quanto queste volontà abbiano condizionato la vita e il futuro di un intero popolo. La “Trafila” dell’agosto 1849 che salvò Giuseppe Garibaldi da sicura morte, risponderebbe in pieno a tale esigenza.

In occasione delle celebrazioni del 170° anniversario della Repubblica Romana del 1849, su invito del Dott. Giuseppe Chicchi, Presidente della cooperativa di turismo culturale “Terre di Dante” (organizzazione di Ravenna in convenzione con la “Società Dante Alighieri – i parchi letterari”), abbiamo partecipato dal 14 al 17 settembre 2018 a un tour storico-culturale di primissimo livello al quale ha aderito la nostra associazione (Presidente Paolo Macoratti e segretaria Monica Simmons), oltre ai Presidenti delle Sezioni ANVRG di Rimini (Valerio Benelli) e di Rieti (Fed. Reg. Lazio Gianfranco Paris).

Giornalisti provenienti da Milano (Franca dell’Arciprete Scotti- Ambienteeuropa – e Giovanni Scotti – Focus online -) e Padova (Maria Paola Meli – Aeceuropa - e Sergio Sambi – popolo terremotati Aec), oltre a rappresentanti dell’Ass. culturale “L’Airone” di Brescia (Liliana Vilardo, Chiara Macina), hanno completato il gruppo formato da 13 persone e guidato dalla perfetta regia di Attilio Moroni, infaticabile e colta guida delle “Terre di Dante” e artefice dei vari spostamenti sul territorio romagnolo, coadiuvato da Alessandra Borgogelli Ottaviani.

La “Trafila Garibaldina” ci ha dato l’opportunità di visitare e scoprire non solo i luoghi e i personaggi della tragica fuga di Garibaldi, di Anita e dei Garibaldini da Roma nel vano tentativo di Raggiungere la Repubblica di Venezia, ma anche le bellezze naturali, artistiche, culturali ed enogastronomiche di un territorio ricchissimo di storia e di umanità, sede dei migliori valori di una secolare tradizione, sia locale che italiana.

Grazie alla narrazione storica dei luoghi visitati ad opera del Dott. Andrea Antonioli (Direttore del Museo Renzi – Progetto Internazionele “Una rosa per Anita”), del Prof. Ivan Simonini (Presidente Parco Letterario Le terre di dante, del Dott. Maurizio Mari (Società Conservatrice Capanno Garibaldi), del Dott. Bruno Melandri (Associazione Mazziniana di Modigliana), del Dott. Gabriele Zelli (Storico e scrittore), siamo potuti entrare con il cuore e con la mente, anche se per un breve arco temporale, nella vicenda funambolica e drammatica dell’arrivo della Legione Garibaldi a San Marino, del suo disarmo e dell’inizio del tentativo dell’Eroe e di pochi militi rimasti di raggiungere Venezia. Malgrado l’interessante visita di questa antica Repubblica (condotta egregiamente da una guida locale), siamo rimasti sorpresi nell’apprendere dalla Dott.ssa Claudia Malpeli, esperta della Biblioteca di Stato di San Marino, l’assenza espositiva del piccolo museo garibaldino, già presente negli anni passati; fortunatamente, per l’occasione, abbiamo avuto la possibilità di fotografare alcuni pezzi della vecchia esposizione, tra cui l’abito portato da Anita e alcune reliquie di Garibaldi e Ugo Bassi (foto allegate)

Uno studiato itinerario ci ha portato da San Giovanni in Galilea (con visita al bellissimo “Museo Renzi”), a Sogliano (visita alle Fosse Brandinelli e allo straordinario museo della Musica e dell’arte povera); da Cesenatico, ove Garibaldi s’imbarcò con l’esigua legione sui famosi 13 bragozzi, a Ravenna (con visita di S. Apollinare in Classe), proseguendo in barca per l’isola degli Spinaroni (base partigiana della Brigata Garibaldi nel 1944-45). Dal capanno Garibaldi alla fattoria Guiccioli dove morì Anita, abbiamo tentato di immaginare, vedendo i luoghi e “aprendo” i sensi, la terribile angoscia provata dai fuggiaschi, la paura d’essere scoperti, riconosciuti e fucilati. Ci siamo avvicinati, visitando la stanza in cui morì Anita e il luogo della sua momentanea sepoltura, al grande dolore del suo José, nel momento in cui, perdendo tutto, Patria, sposa e madre dei suoi figli, cercava insieme al fedele Capitano Leggero (Giovanni Battista Culiolo) la salvezza dalla pressante vigilanza austriaca, per poi affidarsi, come ci racconta lo stesso Garibaldi nelle sue memorie. “..alla serie dei miei protettori, senza di cui non avrei potuto peregrinare per trenta e sette giorni, dalle foci del Po, al golfo di Sterlino, ove m’imbarcai per la Liguria..“. Infine, dopo aver fotografato i luoghi e le lapidi che ricordavano il passaggio dell’illustre fuggitivo siamo approdati nel paese di Modigliana.

Sempre dalle memorie di Garibaldi :”Poi un prete! Vero angelo custode del proscritto, ci cercò, ci trovò, e ci condusse in casa sua a Modigliana..” E proprio a Modigliana, nel mezzo della famosa Festa dell’Ottocento (con il sostegno culturale e artistico del Vicesindaco con delega alla cultura Dott.ssa Alba Maria Continelli e l’Assessore alle politiche scolatiche e del turismo, Dott.ssa Alice Gentilini), abbiamo potuto conoscere la storia di Don Giovanni Verità e il vero senso della cosiddetta “Trafila”= catena di solidarietà, nata molti anni prima, come ci conferma questo passo di Massimo D’Azeglio del 1845, annotato nei “Miei ricordi”: In ogni paese era un uomo fidato che formava uno degli anelli della catena, ed a questa catena era dato il nome di trafila. Serviva a mandar nuove, precetti, direzioni, lettere e talvolta anche persone, gente costretta a fuggire [...] Un solo anello della trafila che fosse stato traditore, rovinava un mondo di gente:ed è fatto notabile che [...] mai e poi mai la polizia ha avuto il gusto di far conoscenza con uno di codesti anelli della gran catena…” (Club Alpino Italiano – sentiero Garibaldi).

L’ultima tappa di questo percorso storico-culturale della Trafila è stata “Villa I Raggi” nella frazione Colmano di Predappio, dove fu ospitato Garibaldi prima di passare in Toscana. Qui, grazie alla cortesia dei discendenti del Conte Giuseppe Campi, abbiamo potuto gustare il famoso “Sangiovese”, premiato all’esposizione universale di Parigi del 1889

A quelle trecento persone della “Trafila”, di cui cento operative, che si occuparono di portare Garibaldi in salvo, dobbiamo rivolgere con gratitudine il nostro pensiero per aver contribuito in modo sostanziale – visto il seguito dell’epopea risorgimentale – alla formazione dell’unità d’Italia. Durante le celebrazioni del 170° della Repubblica Romana del 1849, ricorderemo questo avvenimento e cercheremo di collaborare con “Le Terre di Dante” per far rivivere questi importanti momenti della storia del nostro Paese a tutti coloro che vorranno condividere questa nuova avventura garibaldina.

Paolo Macoratti

 

Roma, 07/09/2018 – Gianicolo – Monumento dedicato a Giuseppe Garibaldi

Grazie alla segnalazione di una insegnante della vicina scuola elementare “Gaetano Grilli”, abbiamo avuto la possibilità di constatare “a caldo” i danni provocati dalla caduta di un fulmine sulla base del monumento che sorregge la statua equestre di Garibaldi. La casualità ha voluto che la folgore squarciasse il lato dedicato alla presa di Roma del XX settembre 1870.

Ai disastri di questa estate 2018 si aggiunge, fortunatamente senza vittime né feriti, quest’ultimo danno al patrimonio monumentale di Roma, che ci auguriamo possa essere ripristinato quanto prima dalle autorità competenti. Non possiamo esimerci dal sottolineare, almeno visivamente, l’assenza di protezione dagli agenti atmosferici di questo manufatto, celebre anche per la sua posizione dominante, e quindi più esposta alle intemperie.

Ass. Garibaldini per l’Italia

LA FORTUNA ARTISTICA DI UNA BELLA FOTOGRAFIA DI GARIBALDI

   

di Leandro Mais

Questa volta per i miei amici garibaldini ho scelto una mia ricerca che, partendo da una bella fotografia di Garibaldi, mi ha portato a scoprire la riproduzione in 9 differenti oggetti. Che Garibaldi sia stato una figura molto fotogenica, ne siamo tutti convinti e ne erano convinti tutti i fotografi dell’epoca, ma dobbiamo in questo caso ammettere che la bella riuscita artistica di questa foto, sia anche merito dell’autore : il pittore  Gustave Le Gray (n. Villiers-le-Bel 30.8.1820  m. Cairo 30 luglio 1882).Questa bellissima foto di Garibaldi (ovale cm 26 x 19,8  -  Foto 1) è conservata a Parigi - Biblioteca Nazionale, Gabinetto delle Stampe - e risulta firmata in basso a destra dall’artista. Il Le Gray si trovava sulla goletta del famoso scrittore Alessandro Dumas padre che si recava a Palermo per consegnare a Garibaldi alcune armi. Con l’occasione l’artista fotografo immortalò in una serie di foto le varie rovine di palazzi e chiese di Palermo, ancora fumanti dopo il feroce bombardamento dal mare delle navi Borboniche. Naturalmente il Dumas fece ritrarre dal suo amico fotografo questa immagine-ricordo del grande Eroe. Questo ritratto fotografico di Garibaldi ebbe immediatamente un successo tale che lo troviamo riprodotto su diversi oggetti artistici di cui ne do qui di seguito la descrizione:

2 – Questo primo oggetto chiaramente derivato dalla foto è una piccola stampa colorata (mm 40 x H mm 52 – camicia rossa – pantaloni azzurri  -  fondo avana) e in basso reca la firma autografa dell’Eroe. A cosa poteva servire questa piccola riproduzione della foto? E perché Garibaldi l’aveva autografata?  La risposta mi fu chiara quando, tempo dopo, acquistai il buono di “Soccorso a Garibaldi” della direzione del fondo con a capo il Dott. Agostino Bertani in Genova (2bis mm 25 x H mm45). Infatti confrontando le due immagini (anche se nel Buono è coperta dalla scritta la parte inferiore) si può confermare  che tutta la parte superiore è uguale alla stampa, quindi la firma autografa fu messa dall’Eroe per confermare il soggetto scelto per l’immagine da rappresentare per questi Buoni patriottici

3 – Spartito musicale “Garibaldi” riproduzione litografica della foto del Le Gray “Sinfonia  sopra l’inno dei Cacciatori delle Alpi dedicata all’Italia, composta da S. Mercadante  - Milano – Ricordi – Timbro a secco “T R 62/3” s,d, (ma 1860) pag, 41

4 – Medaglia 1860 /Sarti 25) metallo bianco diametro  mm 51 opus Caciada. Nel D. la figura di Garibaldi ripresa dalla foto sopra descritta. La medaglia è stata coniata alla fine della vittoriosa impresa di Garibaldi del 1860 di cui sono riportate le varie tappe vittoriose da Marsala a Napoli.

5 – Litografia a colori tratta dalla foto di Le Gray incisa dal Rossetti e colorata da Bignoli. Sotto timbro a secco “Luigi Ronchi” editore  - Milano  (carta avana chiara mm. 325 x H mm 472. Al centro ovale verticale (mm 132 x H mm 195)

6 – Quadro in legno con riproduzione intarsiata (marrone ed avana) con l’immagine di Garibaldi tratta dalla foto suddetta (mm 220 x mm 270)

7 – Fibia in metallo dorato per cinta con figura di Garibaldi (dalla foto suddetta) in rilievo mm 95   X H mm 65

8 – Bastone con manico in avorio con al figura di Garibaldi (mm 145) ripreso dalla foto di Le Gray ma con l’aggiunta di un grande fazzoletto sulle spalle.  La parte centrale del bastone è di legno pregiato ( mm 660 ), sia nella parte inferiore delle gambe che nel retro,  ed è terminante con un puntale in avorio (mm 110)

9 – Statuetta in schiuma su base tonda riproducente il Garibaldi del Le Gray  con l’aggiunta non solo della parte inferiore delle gambe ma anche di un cappello con nappina, ma mancante della catena con l’orologio (mm 110 x H mm 290)

10 – Questo bel ritratto di Garibaldi riappare dopo ben 72 anni  nell’ultimo valore (£5 + £1 colore rosso-bruno – 6 aprile 1932)  della serie ordinaria di francobolli commemorativi  del cinquantenario della morte di Garibaldi. Dato che in quel tempo l’Italia governava anche un certo numero di colonie africane  questa bella serie con colori cambiati  fu messa in circolazione (1 luglio 1932) con la scritta “Poste Coloniali Italiane” anziché “Poste Italiane”. Questo valore (sempre £5 + £1) fu stampato in azzurro.

Non mi resta ora che augurare ai miei cari lettori di scoprire qualche altro oggetto per poter dimostrare  (se ce ne fosse bisogno) che il soggetto era bello e fotogenico ma il fotografo era veramente ………… un arstista.

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Carlo De Angelis (a destra) mentre trasporta i resti di Paolo Narducci

 

 

Abbiamo conosciuto Carlo De Angelis in un giorno indimenticabile: la tumulazione nel Sacrario dei caduti per  Roma dei resti mortali del Tenente Paolo Narducci, primo caduto per la Repubblica Romana del 1849.

La nobile iniziativa, cui eravamo stati invitati  dalla Socia Onoraria Cinzia Dal Maso, era stata da quest’ultima organizzata insieme a Mirna Verger, discendente di Paolo Narducci e moglie di Carlo De Angelis, per favorire la traslazione dei resti del giovane patriota dal Cimitero del Verano al Sacrario di Via Garibaldi. La cerimonia ebbe luogo a Roma il 6 Agosto 2012 (https://www.garibaldini.org/2012/08/fratello-tra-i-fratelli/).

Fin da quel primo incontro nacquero tra noi dell’Associazione, Mirna e Carlo, reciproche manifestazioni di stima e simpatia, che si sarebbero successivamente consolidate, prima con la donazione alla Garibaldini per l’Italia della corona mortuaria del giovane caduto e di due quadri raffiguranti il Narducci e la Madre, poi con l’iscrizione di Mirna e Carlo alla nostra organizzazione nel 2014. Sentimenti rinnovati, quelli di stima e simpatia, in occasione della nostra donazione dei preziosi cimeli famigliari dei discendenti dei Narducci al Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina nel settembre 2013 e nella successiva presentazione degli stessi, restaurati e ancora non esposti, nel maggio 2017.

Malgrado la scarsa frequentazione, abbiamo di Carlo un ricordo vivo e inequivocabile di persona buona, disponibile, colta e umile; una persona motivata da nobili sentimenti che trasparivano dalla sua istintiva facilità nel fraternizzare con tutti attraverso poche ma significative battute. Un esempio concreto di materializzazione di ideali: non proclamati ma vissuti nel quotidiano. Un altro garibaldino dei nostri tempi che si unisce al ricordo indelebile di Alberto Mori e Alcide Lamenza.

STORIA E RICERCA DI UNA CURIOSITA’ RISORGIMENTALE

di Landro Mais     

Fra i tanti oggetti inerenti l’iconografia garibaldina (pitture, litografie, bronzetti ecc. ) molti anni fa ho avuto la fortuna di trovare un “pezzo” non solo curioso ma soprattutto misterioso.   

Si tratta di un bel ritratto a colori di Garibaldi in divisa da Generale piemontese del 1859 (Cacciatori delle Alpi). Il fatto “misterioso” ne è la dimensione: un piccolo tondo di appena 6 mm. La seconda cosa “curiosa” è data dalla riproduzione speculare, nel retro, dello stesso piccolo ritratto.

Ad un primo esame pensai subito si trattasse di una miniatura, ma il fatto che il ritratto risultasse anche nel rovescio  mi fece desistere da questa idea.  Rigirando sul palmo della mano questo piccolo oggetto  andavo poi cercando  di capire a cosa servisse: per una spilla? Per un anello? Per una catenina? Ma rimaneva sempre “misteriosa” la riproduzione nelle due parti; e poi si trattava veramente di una miniatura?  Nel guardare con più attenzione  il bordo del piccolo tondo  scoprii un fatto nuovo e curioso: l’ultimo bottone a destra in basso era situato esattamente nel bordo ed era costituito da un segmento che attraversava tutto lo spessore andando a costituire il bottone nel retro stesso. Questa prima scoperta  mi spinse a ricercare nello spessore le altri parti ove avveniva il cambiamento di colore. Da quel momento capii che non si trattava di una miniatura, ma di altro.   

A fare luce completa su questo oggetto misterioso fu un mio caro amico di Milano che sfogliando un catalogo di una mostra che si faceva a Venezia ne trovò la storia .  Si trattava di uno dei 4 tipi di ritratti di Garibaldi eseguiti in Venezia dalla fabbrica Franchini nel 1863 attraverso una nuova invenzione di lavorazione del vetro detta “Murrina”. Questa è costituita da un piccolo cilindro del diametro di mm 6 e della lunghezza di circa mm 50, costituito dall’ assemblaggio a caldo di filamenti in vetro colorato secondo un modello preparato precedentemente. Una volta raffreddato, il piccolo cilindro veniva tagliato in tanti piccoli dischetti, per cui il ritratto risultava speculare sui due lati.  

Se il mistero di questa nuova invenzione  (1863) era stato trovato rimaneva il mistero sempre più fitto del suo utilizzo. Che cosa era? E a che cosa serviva un doppio ritratto così piccolo dell’Eroe e per giunta in divisa sardo-piemontese del 1859, considerando che Venezia sarebbe diventata italiana dopo la guerra del 1866, e cioè 3 anni dopo?  A questo punto sono ricorso ai dati storici e al noto sistema usato dai patrioti quando si dovevano recare in un luogo ancora soggetto alla dominazione nemica. Fra i tanti espedienti inventati per essere riconosciuti senza bisogno di lettere credenziali, vi era quella di piccoli oggetti che attestassero il riconoscimento del patriota (l’oggetto era tanto piccolo che anche in caso di qualunque pericolo poteva essere ingoiato). A questo punto posso ancora una volta essere contento di aver svelato a tutti gli amici curiosi delle cose storiche del nostro Risorgimento un particolare fino ad oggi sconosciuto.

NOTA  Una serie completa di tutti i 4 tipi di questa rarissima murrina si trova esposta a Londra nel famoso British Museum   

 

 

   Riceviamo dal nostro Socio onorario Leandro Mais la notizia del ritrovamento di una medaglia d’argento che la città di Mantova dedicò nel 1910 (ovvero dopo 50 anni) ai superstiti dei Mille ancora viventi della città e provincia.

   E’ abbastanza nota a tutti la storia che riguarda l’assegnazione nel 1860 della famosa medaglia che Palermo volle donare a tutti i Mille (1089), mentre invece è meno nota la medaglia d’argento che sempre nel 1860 il piccolo comune di Iseo (e provincia) donò ai soli 16 garibaldini dei Mille; quest’ultima, naturalmente in proporzione, è molto più rara di quella di Palermo.

   Per quanto riguarda invece questa di Mantova  (e provincia) il  Sig. Mais ci conferma che consultando l’elenco dei Mille  della zona di Mantova (naturalmente viventi al 1910) il numero dei garibaldini dei Mille che la ebbero dovrebbe essere solamente di sei.

   Altra notizia che confermerebbe l’estrema rarità di questa medaglia si può dedurre da queste ulteriori notizie:

1°   la suddetta non risulta pubblicata in nessun catalogo delle medaglie di Garibaldi (come nel “Sarti” del 1933 ecc,)

2°  nel lungo periodo di oltre 50 anni il Mais stesso dichiara di non averne mai avuta notizia, né nella stampa specializzata, né nei moltissimi convegni numismatici da lui frequentati.

   Il nostro amico sarebbe particolarmente grato a tutti coloro che potessero fornirgli qualche notizia in merito

Medaglia AG 1910 opus Donzelli diametro mm 30